REDAZIONE SALUTE

Sindrome Vexas, cos’è, sintomi e cure. Scoperti nuovi meccanismi e aperto il primo ambulatorio multidisciplinare

Pubblicato uno studio dei ricercatori dell’Ircss Ospedale San Raffaele e inaugurato uno spazio dedicato ai pazienti affetti da questa patologia

Sindrome Vexas, il team di studio all'Ospedale San Raffaele di Milano

Sindrome Vexas, il team di studio all'Ospedale San Raffaele di Milano

Milano, 7 aprile 2025 – Scoperta solo nel 2020, la sindrome di Vexas è una patologia autoinfiammatoria che ha sintomi e caratteristiche simili a quelle ematologiche: dalla bassa ossigenazione del sangue alla riduzione di globuli bianchi, passando per l’anemia.

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele – Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), in collaborazione con la Divisione di Genetica e Biologia Cellulare, ha pubblicato sulla rivista Nature Medicine uno studio che getta luce sui meccanismi alla base di questa grave malattia infiammatoria che esita in insufficienza midollare legata all’invecchiamento e colpisce 1 persona su 4000, prevalentemente di sesso maschile, con età superiore ai 50 anni. Il lavoro è stato coordinato dal dottor Samuele Ferrari, project leader dell’Unità di Nuove Strategie di Terapia Genica, insieme al professor Luigi Naldini, direttore dell’SR-Tiget e ordinario di Istologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, e al dottor Giulio Cavalli, immunologo dell’Ospedale San Raffaele sino al 2022.

La sindrome Vexas

La sindrome Vexas è una malattia delle cellule staminali del sangue, causata da una mutazione, che si acquisisce con l’invecchiamento, a livello del gene UBA1, che fornisce le istruzioni per la sintesi di un enzima coinvolto nella degradazione delle proteine. Nella sindrome Vexas, le cellule staminali del sangue mutate si sostituiscono progressivamente a quelle sane, ovvero quelle che non hanno acquisito la mutazione, attraverso un meccanismo chiamato emopoiesi clonale. Le cause e le caratteristiche dell’emopoiesi clonale alla base della sindrome Vexas rimangono sconosciute. Come conseguenza si verificano infiammazione a carico di diversi organi (febbre, lesioni cutanee, interessamento polmonare e dei vasi sanguigni, infiammazione delle cartilagini) e, da ultimo, viene compromessa la capacità del midollo osseo di generare un numero sufficiente di nuove cellule del sangue, determinando anemia e riduzione delle piastrine.

Cellule del sangue con vacuoli da campioni di pazienti Vexas
Cellule del sangue con vacuoli da campioni di pazienti Vexas

Le cure

Ad oggi non esiste ancora un trattamento approvato ma possono essere utilizzati farmaci immunosoppressori con l’obiettivo di controllare l’infiammazione (es. come il cortisone o farmaci biologici) in associazione a farmaci che possano contribuire al miglioramento dei valori del sangue (eritropoietina, 5-azacitidina). In casi selezionati, può essere offerto al paziente un trattamento con trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore sano. Purtroppo, ad oggi, non esistono cure risolutive e l’esito della malattia è a lungo termine infausto.

Lo studio

I ricercatori hanno dapprima studiato le caratteristiche molecolari delle cellule staminali del sangue prelevate da pazienti affetti dalla sindrome Vexas. Hanno osservato che queste cellule mostravano segni dell’infiammazione e dell’invecchiamento precoce ed erano più propense a generare cellule del sangue del tipo mieloide, cioè monociti e granulociti che sono associati all’infiammazione, invece che cellule del tipo linfoide, cioè linfociti B e linfociti T che mediano le difese immunitarie.

I ricercatori hanno sviluppato un modello preclinico della malattia utilizzando una nuova tecnologia di editing genetico per introdurre la mutazione Vexas nel gene UBA1 di cellule staminali ottenute da donatori sani. Queste cellule “fotocopia” di quelle malate sono state trapiantate nel midollo osseo di ospiti murini insieme ad altre rimaste intatte per osservarne il comportamento in un organismo.

Le cellule staminali mutate ricapitolavano nell’animale molte caratteristiche della sindrome Vexas, quali alcuni segni infiammatori e di invecchiamento precoce e la propensione a generare cellule mieloidi invece che linfociti. Soprattutto, come osservato nei pazienti, le cellule staminali mutate prendevano il sopravvento su quelle sane, sostituendosi progressivamente alle stesse. I ricercatori hanno dimostrato che l’emopoiesi clonale era dovuta non come si ipotizzava in precedenza ad una aumentata crescita delle cellule mutate rispetto a quelle sane ma alla difficoltà di sopravvivenza di queste ultime nell’ambiente infiammatorio creato dalle cellule staminali mutate e dalla loro progenie, le quali, invece, erano più resistenti.

«L’ematopoiesi clonale e le manifestazioni patologiche alla base della sindrome Vexas sono dovute ad una progressivo “avvelenamento” della frazione di cellule ancora sane da parte dell’ambiente infiammatorio che quelle mutate contribuiscono a creare rimanendone resistenti» affermano le dottoresse Raffaella Molteni e Martina Fiumara, ricercatrici dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e prime autrici dello studio.

Prospettive future

“Questo studio svela nuove informazioni sui meccanismi alla base della dominanza clonale nella sindrome di Vexas e sulle sue possibili relazioni con altre malattie del sangue legate all’invecchiamento. Il nuovo modello preclinico che abbiamo messo a punto rappresenta uno strumento importante, che speriamo possa aiutare a sviluppare nuovi trattamenti per la sindrome Vexas e per altre condizioni che si presentano con simili alterazioni genetiche a carico delle cellule del sangue”, commenta l’ultimo autore dello studio, il dottor Samuele Ferrari. Quest’ultimo è stato inoltre uno dei vincitori dell’ERC Starting Grant 2024 proprio con uno studio sulla sindrome Vexas.

“I meccanismi della dominanza clonale descritti in questo studio non solo fanno luce sulle caratteristiche cellulari della sindrome Vexas, ma forniscono anche un punto di partenza per guidare la ricerca nel campo di altre patologie del sangue associate all’invecchiamento, contribuendo così ad ampliare la nostra comprensione di queste condizioni”, aggiunge il professor Luigi Naldini.  La ricerca è stata sostenuta principalmente dall’American Society of Hematology e dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

L’ambulatorio

Quest’anno l’IRCCS Ospedale San Raffaele ha inaugurato un ambulatorio specializzato per la sindrome Vexas, nato dalla collaborazione tra l’Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, diretta dal professor Fabio Ciceri, direttore del Cancer Center, e l’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare, diretta dal professor Lorenzo Dagna, con l’obiettivo di garantire ai pazienti un’assistenza multidisciplinare e personalizzata.

Il nuovo spazio, gestito dal dottor Corrado Campochiaro, reumatologo e dalla dottoressa Elisa Diral, ematologa, ad oggi ha già in cura 16 pazienti, e rappresenta un punto di riferimento fondamentale per questa patologia identificata per la prima volta solo cinque anni fa e ancora poco conosciuta.

Questo ambulatorio offre ai pazienti un luogo in cui ricevere diagnosi tempestive, trattamenti personalizzati e un supporto multidisciplinare costante nel percorso di gestione della malattia. Il nuovo ambulatorio, inoltre, promuove la ricerca attraverso l’accesso a trial clinici favorendo la possibilità per i pazienti di aderire a nuovi protocolli terapeutici. Grazie alla sinergia tra specialisti di diverse discipline, l’ambulatorio desidera migliorare la qualità di vita dei pazienti, fornendo loro strumenti concreti per affrontare al meglio la patologia e creando una comunità di riferimento nella quale possano sentirsi compresi e supportati.

“La creazione di un ambulatorio dedicato alla sindrome VEXAS è un passo cruciale per garantire ai pazienti un’assistenza specializzata e personalizzata”, spiega il professor Lorenzo Dagna, “questa iniziativa non solo aiuterà a migliorare la gestione clinica della malattia, ma consentirà anche di raccogliere dati preziosi per la ricerca, accelerando lo sviluppo di nuove terapie”, conclude il professor Fabio Ciceri.