Maietti
Non so cosa pensiate voi dell’angelo custode. Io sono quasi convinto di averne uno. Col tempo gli ho anche dato un nome: G. L’iniziale di Gypsy e Gentle, gitano e gentile. Col tempo ho avuto l’impressione che così fosse il mio angelo: un po’ gitano, libero, ribelle, capriccioso, assente. Ma puntualmente vicino in certi momenti neri: gentile, come la donna di Dante Ho ripensato al mio angelo, passeggiando lungo l’Adda in piena di questi giorni. Niente è più angosciosamente malioso di un fiume che va in piena. Il fascino di una bellezza luciferina. Per questo la gente viene e si ferma a guardare: impotente, misteriosamente ammaliata dall’acqua (specie se ha casa all’asciutta). Ho seguito l’acqua limacciosa scendere rombando oltre una cascatella, spegnere il rombo più a valle, senza diminuire la rapinosa velocità. Tronchi portati giù da chissà dove a tratti emergevano come naufraghi abbandonati al destino. A un tratto mi ha preso il ticchio di scendere l’argine, fino a pelo dell’acqua, dove un salice solitario era curvo sul fiume, che gli stava mangiando le radici. Una preghiera obliqua, disperata. Il brivido della storia di Bassan, un contadino che si era annegato negli anni Trenta del secolo scorso. Aveva deposto sotto un salice il cappello della festa, prima di prendere quietanza. Mi sono appoggiato al salice, ascoltando l’acqua che sciaguattava, facendo infido mulinello intorno. Era d’improvviso sbrecciato il sole al tramonto, e l’acqua andava catturando l’estremo azzurro del cielo. "Foul and fair", terribile e bello, come il cielo di Macbeth quando va incontro alle streghe che lo profetizzeranno re. Ma più lancinante – la lama di un kriss – il pensiero di Bassan. E se il salice, adesso, fosse stato sradicato dall’ira silenziosa dell’acqua? È stato allora che – dopo non so quanto – l’ho risentito il mio angelo: teneramente rassicurante, sulla spalla. Con lei (si dice che gli angeli non hanno sesso, ma il mio deve essere femmina) ho guadagnato rapidamente il sommo dell’argine.