VALENTINA PARMIGIANI
Cronaca

Le calchere, un tesoro nei boschi

Al Pradásh di Tornadri i resti delle fornaci che trasformavano i “sass gianch“ nella preziosa calce viva.

di Valentina Parmigiani

Un tempo, lungo le Alpi, numerose erano le cosiddette “calchere“, fornaci utilizzate per preparare la calce. Diverse di loro sono rimaste in funzione in Valmalenco fino alla metà del secolo scorso. Nel bosco di Pradásh di Tornadri, frazione di Lanzada, è possibile ammirare ancora oggi i resti di due di questi forni, già menzionati nel 1670 in un inventario custodito nell’archivio della parrocchia.

Il nome di queste fornaci deriva dai calcaresi, i sass gianch del dialetto locale, rocce calcaree di colore bianco impiegate per produrre la calce. Questi sassi si reperivano facilmente nella zona e trasportati nelle gerle o coi muli fino alle calchere.

Nelle fornaci i massi erano riscaldati gradualmente per circa 8-10 giorni fino a raggiungere temperature elevate: dagli 800 ai 1300 gradi. Il fuoco doveva essere alimentato in continuazione e si stima che venissero bruciati fino a 200 quintali di legna per poter produrre 120 quintali di calce viva. Le rocce calcaree erano poste sopra il combustibile e, una volta riempita, la fornace era chiusa utilizzando come coperchio altri massi.

All’inizio della combustione le fiamme erano di colore giallo e verde. Quando assumevano una colorazione azzurrina significava che il procedimento era giunto al termine: il carbonato di calcio contenuto nei sass gianch si era trasformato in ossido di calce, ossia in calce viva.

Di questa sostanza si facevano molteplici usi. Era impiegata per disinfettare stalle e ambienti, ma anche nell’edilizia (una volta aggiunte acqua e sabbia).

Gli operai addetti alla lavorazione erano chiamati calcheròtt.

Adesso le calchere sono immerse nel bosco, ma un tempo, anche per scongiurare il rischio di incendi, erano circondate solamente da ampie zone erbose. Inoltre, gran parte degli alberi dei dintorni veniva abbattuta per poter alimentare le fornaci. Le calchere presentano una forma circolare. Sono in parte interrate e in parte addossate alla montagna. È ancora visibile l’apertura attraverso cui si inseriva la legna per alimentare il fuoco. Di recente sono state restaurate gratuitamente da Luigi Bontempi, che ha provveduto a ricostruire con perizia le parti deteriorate in seguito a un crollo.

"Le calchere rappresentano una forma di memoria storica del nostro territorio. Sono il segno tangibile del passato – afferma Giorgio Nana, coordinatore del settore impianti di risalita della Filt Cgil Regionale e, in passato, assessore alla cultura del comune di Lanzada –. Purtroppo sono ancora poco conosciute, specie tra i turisti".

Al riguardo, l’attuale amministrazione comunale ha in programma di migliorare la segnaletica in modo che le calchere possano essere raggiunte facilmente, senza possibilità di confondersi o di sbagliare strada.

Il percorso che conduce alle fornaci è agevole e percorribile senza difficoltà anche da bambini. Basta deviare un poco dal sentiero Rusca, la pista ciclabile che costeggia il Lanterna, per poterle ammirare. Vi sono corde e paletti (la cui sommità in pietra ollare è stata realizzata da Renato Bergomi, un artigiano locale) che delimitano l’area.

"Le calchere sono una testimonianza della fatica e del lavoro dei nostri avi – prosegue Nana – testimonianza che va tutelata e resa nota a tutti". La divulgazione e valorizzazione di queste calchere è stata resa possibile grazie anche all’articolo di Ermanno Sagliani, ora pubblicato nel volume “Segni di antiche attività in Valmalenco”.