Sondrio – «Perché proprio a me? Me lo sono domandato e mi sono dato una risposta: avevano capito che non avrei reagito». Lo chiameremo Bruno, ha 32 anni e un contratto, rinnovato, che scadrà a maggio. La ditta della Bassa Valle dove lavora impiega una quarantina di persone su tre turni. Bruno ha tanti interessi, è sportivo e ha un cuore d’oro. Probabilmente troppo, per chi lo ha individuato come bersaglio perfetto per scherzi idioti, sempre più pesanti e frequenti. «Quello sul lavoro è definito mobbing – dice Bruno – ma per me sono stati episodi di bullismo, peggio che a scuola».
Tutto inizia negli spogliatoi, un giorno Bruno viene chiuso in bagno dai colleghi sghignazzanti, che lo lasciano lì a lungo. Poi si passa ai danni ad oggetti personali. «Alla fine del turno mi sono trovato le scarpe verniciate con la pistola a spruzzo – racconta – per non dire di quando mi hanno preso in due e mi hanno avvolto nel cellophane, sembravo un salame, non mi potevo muovere». E giù risate dei due bulli, ragazzotti di poco più di vent’anni che hanno capito che fare i gradassi con le persone miti è un gioco facile facile. «Le otto ore mi sembravano sedici – continua Bruno – ma subivo in silenzio perché temevo che se avessi detto qualcosa non mi avrebbero rinnovato il contratto».
Intanto le cose non migliorano, anzi. «Mi hanno lanciato un blocco di ferro: se mi avesse colpito al capo, mi avrebbe ucciso». In questo caso l’autore non era un bullo poco più che maggiorenne, ma un padre di famiglia di mezza età. Fortuna vuole che del fatto si accorga una collega, la quale decide di parlare personalmente ai titolari delle vessazioni che Bruno subisce. «Un giorno mi viene detto che sono convocato in direzione e lì per lì mi domando pure che cosa avrà da dirmi il capo. In effetti l’aria era seria, sono stato un po’ sgridato, perché non ho parlato subito di quanto subìvo».
Il resto è storia recente: dopo le lettere di richiamo ai colleghi-aguzzini, il clima è migliorato. «Mi hanno chiamato, cercando di minimizzare, accusandomi di avere esagerato, ma li ho lasciati parlare – prosegue Bruno – il clima però ora è cambiato, ci si ignora, al massimo si parla di lavoro, ma va bene così». Bruno già una decina di anni fa era stato suo malgrado protagonista di un altro caso simile. «Quella volta però i colleghi furono proprio licenziati, perché colti in flagrante mentre distribuivano colla rovente sui bordi di scatole che io dovevo maneggiare. Rimediai delle brutte ustioni, finii in ospedale. Ora mi auguro di incontrare solo rispetto, come io ce l’ho per gli altri».