Ad accorgersi che dietro quei segni c’era una mano umana è stato un escursionista comasco di nome Tommaso Malinverno. Era il 2017 e ancora non sapeva che su quella roccia ai piedi del ghiacciaio del Pizzo Tresero, a oltre 3.000 metri di altitudine, c’erano delle incisioni rupestri risalenti all’Età del Bronzo. L’alpinista segnalò la scoperta alla Soprintendenza e oggi è arrivata la conferma: quei glifi sono stati tracciati tra 3.600 e 3.200 anni fa, probabilmente da cacciatori antenati dei moderni lombardi.
I petroglifi del Tresero, siti nel comune di Valfurva all’interno del Parco nazionale dello Stelvio, sono una testimonianza della presenza di lunghissimo periodo dell’uomo nelle terre di montagna. Le incisioni sono collocate sopra il Passo di Gavia e sono in stretto collegamento con i siti rupestri in Valtellina e in Valle Camonica, primo sito italiano a ottenere, nel 1979, il riconoscimento Unesco quale Patrimonio dell’Umanità.
Appena pochi giorni, nel Parco delle Orobie Valtellinesi, era stata annunciata anche l’incredibile scoperta di un ecosistema fossilizzato di oltre 280 milioni di anni fa, risalente all’ultimo periodo dell’era paleozoica.
Glifi tracciati da diverse mani
I petroglifi, spiegano gli esperti, si concentrano su alcune rocce lisciate dall’azione dei ghiacci poste in posizione defilata lungo il margine occidentale del bacino del ghiacciaio, ai piedi di Punta Segnale. Le tecniche impiegate nella realizzazione delle incisioni e alcune caratteristiche nella composizione figurativa suggeriscono che i segni siano stati realizzati da mani diverse, forse in periodi successivi.
Le incisioni del Tresero si collocano quindi al confine tra due dei comprensori più ricchi di manifestazioni d’arte rupestre dell’arco alpino. Va evidenziato che tracce dell’azione di erosione e di sfregamento causate dalla nuova avanzata del ghiacciaio, a partire da 3.000 anni fa, sono ancora visibili sulle rocce e riguardano anche le incisioni, che presentano striature e risultano parzialmente cancellate.
Santuario di arte preistorica
Ciò potrebbe far supporre che in origine i segni incisi fossero in numero maggiore e che siano stati in parte cancellati dall’avanzata glaciale, che avrebbe risparmiato solo quelli posti in posizione più protetta. Se questa ipotesi fosse corretta, i petroglifi rinvenuti sul Tresero potrebbero essere quanto resta di un complesso figurativo più vasto, una sorta di “santuario” di arte rupestre, una versione a piccola scala di quello riconosciuto fin dall’Ottocento sul Monte Bego, sulle Alpi Marittime, a oltre 2.000 metri di altitudine.
L'obiettivo è quello di ricostruire le modalità di occupazione del territorio e le strategie di sfruttamento delle risorse delle comunità umane in tutta l’area dell’Alta Valle di Gavia, che è nota per aver restituito tracce di frequentazioni molto antiche. L’esito delle indagini archeologiche condotte dal 2022 in diversi siti a breve distanza dal Tresero, alla Malga dell’Alpe, alla Grotta Cameraccia e al Lago Nero, ha infatti confermato che queste aree, oltre diecimila anni fa, furono percorse dai cacciatori mesolitici, che hanno lasciato le tracce di bivacchi e di postazioni per la caccia.
La presentazione della scoperta
La scoperta e gli studi sono stati presentati, a Palazzo Lombardia, dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana; dall'assessore regionale a Enti locali e Montagna, Massimo Sertori; dal direttore del Parco dello Stelvio, Franco Claretti; dalla prorettrice dell'Università di Bergamo, Elisabetta Bani; da Sara Masseroli della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese; da Stefano Rossi, archeologo della Soprintendenza e da Stefano Morosini, dell'Università di Bergamo e consulente del Parco nazionale dello Stelvio.
“Siamo di fronte a una scoperta di importanza molto rilevantissima – ha detto il presidente Fontana – perché si tratta dei graffiti rinvenuti, in Europa, alla quota più alta, a oltre 3.000 metri. Una notizia eccezionale che assume un valore scientifico e storico particolarmente rilevante e che rendono queste montagne lombarde ancora di più al centro dell'interesse non solo degli appassionati della materia”.
L’archeoloro della Soprintendenza che si è occupato dello studio, Stefano Rossi, ha spiegato che “abbiamo effettuato molti sopralluoghi e molti interventi proprio a conferma dell’autenticità di questo di questo sito così particolare. Gli elementi maggiori oltre alla verifica diciamo fisica del dei manufatti e della loro modalità di incisione è stata realizzata con delle indagini cosmologiche, ovvero la verifica in laboratorio dei tempi di esposizione ai raggi cosmici diciamo più banalmente alla luce solare, e di un sito che è emerso dal ghiacciaio, poi da questi nuovamente sommerso, e poi, da pochi decenni, a fronte della della fusione del ghiacciaio del Tresero nuovamente riemerso”.