Scoperta incredibile in Valtellina: trovato un ecosistema preistorico risalente a 280 milioni di anni fa

I reperti sono stati rinvenuti nel Parco delle Orobie Valtellinesi su una lastra di arenaria emersa con lo scioglimento di neve e ghiacciai ad oltre 3.000 metri di altitudine: risalgono al Paleozoico

Tracce degli albori della vita sulla Terra sono state scoperte pochi giorni fa sulle montagne della Valtellina, in provincia di Sondrio. Su alcune lastre di arenaria, cioè di pietra sedimentaria composta da granuli di sabbia, è stato rinvenuto un antichissimo ecosistema risalente a circa 280 milioni di anni fa: orme di anfibi e rettili, piante, semi, impronte di pelle e addirittura alcune gocce di pioggia. 

Il periodo Permiano è l'ultima dell'era Paleozoica, che va da 540 a 252 milioni di anni fa
Il periodo Permiano è l'ultima dell'era Paleozoica, che va da 540 a 252 milioni di anni fa

Questi reperti sono stati riportati alla luce a seguito dello scioglimento di neve e ghiaccio causato dal cambiamento climatico e sono stati recuperati nel Parco delle Orobie Valtellinesi a circa 3.000 metri di altitudine grazie a una spettacolare operazione che ha impiegato un elicottero dotato di attrezzatura specializzata. L’ecosistema, mostrato per la prima volta al Museo di storia naturale di Milano, conserva delle testimonianze della vita risalenti al periodo Permiano del Paleozoico.

L’era Paleozoica

In quel periodo, tutti i continenti della Terra erano uniti a formare un supercontinente chiamato Pangea, circondato da un enorme oceano chiamato Pantalassa. Il clima era generalmente secco e arido, con ampie zone desertiche e fluttuazioni climatiche intense. Fu un momento estremamente importante nella storia dell’evoluzione sulla terraferma: si diffusero rettili, insetti e le prime piante con semi. Anche i primi mammiferi primitivi iniziarono a fare la loro comparsa. Il Permiano si concluse con la più grande estinzione di massa della storia, nota come estinzione del Permiano-Triassico. Questa catastrofe provocò la scomparsa di circa il 90 per cento delle specie marine e il 70 per cento delle specie terrestri.

"Un intero ecosistema fossilizzato su lastre di arenaria a grana finissima, che hanno conservato dettagli inimmaginabili". Questa mattina, presso il museo delle scienze naturali di Milano, sono stati presentati alcuni fossili risalenti a 280 milioni di anni fa, 50 milioni di anni prima della comparsa dei dinosauri sulla terra. “Le esplorazioni sono solo iniziate. Voglio complimentarmi con il team scientifico dei nostri musei perché fin dalle prime ricerche, questa scoperta conferma il ruolo centrale dei musei scientifici di del Comune di Milano nelle ricerche sul campo. In sinergia con la soprintendenza e con l’Università di Pavia le esplorazioni sono appena iniziate e produrranno risultati che potranno vedere con i loro occhi nel Museo di Storia Naturale”, ha dichiarato l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi. La scoperta - è stato spiegato durante l'incontro - è stata casuale. Il primo reperto, rinominato “Masso 0” è stato scoperto da Claudia Steffensen, una escursionista di Lovero, mentre percorreva un sentiero della Val d’Ambria, nel comune di Piateda (SO), a 1.700 metri di quota e che ha poi avvisato il fotografo naturalista Elio Della Ferrera, il quale ha poi incontrato casualmente Cristiano Dal Sasso, paleontologo dei Vertebrati presso il Museo di Storia Naturale di Milano.

Camminate preistoriche

Il sito fossilifero è scoperto per caso dall’escursionista Claudia Steffensen di Lovero (Sondrio) e documentato dal fotografo naturalista Elio Della Ferrera. È stato studiato dal paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di storia naturale di Milano insieme al geologo Ausonio Ronchi dell’Università di Pavia e all’icnologo Lorenzo Marchetti del Museo di storia naturale di Berlino.

Gli esperti hanno riconosciuto orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti, artropodi), spesso ancora allineate a formare “piste”, ovvero camminate che avvennero nel Permiano. “A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza”, afferma Dal Sasso. Inoltre in questo nuovo sito, su alcune superfici sono fossilizzate orme di almeno cinque diverse specie di animali (trattandosi di tracce e non scheletri, è più corretto parlare di icnospecie), il che permetterà di effettuare accurate ricostruzioni paleoecologiche.

Come si sono formate le impronte

“Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano”, precisa Ronchi. “Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo”.

“La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali”, aggiunge Marchetti. “Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente anche superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica nel settore orobico e bresciano”.