MARCO GALVANI
Economia

Alessandro Spada. La città e i suoi gioielli: "Non ci batte nessuno"

Il presidente di Assolombarda si racconta tra passioni e ricordi. L’infanzia tra i campi di periferia, le notti in tenda in autodromo. e la scommessa vincente made in Brianza con l’impresa di famiglia.

Alessandro Spada. La città e i suoi gioielli: "Non ci batte nessuno"

Alessandro Spada. La città e i suoi gioielli: "Non ci batte nessuno"

Quando è nato, esattamente a metà degli anni Sessanta, dopo quella striscia di villettine a schiera in viale Libertà era tutta campagna. Quando la famiglia si è allargata, papà Massimiliano e mamma Marisa hanno deciso di avvicinarsi al centro città. Largo Esterle. Da lì Alessandro Spada tutte le mattine raggiungeva il Collegio della Guastalla a San Fruttuoso. Erano gli anni del motorino “Ciao”. Poi le superiori al Mosè Bianchi, giurisprudenza all’Università Statale e un corso di specializzazione negli Stati Uniti in business administration. "Dopo un anno all’estero, quando sono tornato, avevo toccato com’è vivere in una grande metropoli e vedevo in Milano la mia grande opportunità". Alessandro Spada oggi guarda Monza con affetto pur con gli occhi del “milanese d’adozione”. Ma anche come presidente di Assolombarda, la più grande associazione territoriale del sistema Confindustria.

Presidente, questo si immaginava da bambino?

"Non ho mai pensato di voler fare il presidente di Assolombarda, da ragazzino mi sarebbe piaciuto fare il giornalista sportivo. Invece fortunatamente ho seguito il consiglio di mio padre e ho provato a scoprire com’era lavorare nell’azienda di famiglia. Una realtà che mio padre, Martinitt, ha costruito dal nulla e ha saputo sviluppare con grande passione che ha trasmesso anche a noi figli".

La VRV è un gioiello della manifattura nato negli anni Settanta dentro a un piccolo capannone in un campo di Ornago, specializzato in costruzioni per l’industria chimica e petrolchimica.

"Per questo all’inizio sono stato un po’ alla larga. Era tutto molto tecnico, ingegneristico, pensavo fosse lontano dalla mia mentalità, visto che avevo studiato giurisprudenza. Ma una volta entrato ho capito cos’è un’azienda e che potevo dare il mio contributo".

E così è iniziata l’ascesa. La gavetta fino ai vertici e l’acquisizione del 100% delle quote dell’azienda dal socio insieme con papà ed i fratelli Elena e Federico.

"Nel 1995 è cominciato il vero sviluppo, l’acquisto di uno nuovo stabilimento nella vicina Burago, le prime acquisizioni per ampliare la gamma dei prodotti, prima con uno stabilimento in Francia, Cryodiffusion, fino allo sbarco in India con uno stabilimento nuovo costruito in 13 mesi nel mezzo del niente! In pochi anni abbiamo raggiunto i 130 milioni di fatturato. Al nostro apice, per la divisione Criogenica, eravamo terzi nel mondo, ma con davanti a noi imprese che arrivavano al miliardo di fatturato. Non eravamo più una realtà piccola, eravamo un gruppo di 700 persone in 5 stabilimenti concentrato però in un mercato come quello dei Paesi in via di sviluppo, che stava diventando sempre più difficile perché iniziavano a crescere i costruttori locali con costi molto più bassi. Il rischio di perdere competitività era all’orizzonte. Serviva qualcuno che avesse le spalle più grandi per garantire solidità e crescita dell’azienda, perché questi erano i valori che nostro padre ci aveva insegnato: l’arrivo di Chart Ind. ha significato tutto questo, nuove linee di prodotto e maggiori mercati. Federico ed io siamo tutt’ora in VRV per supportare la crescita e, inoltre, abbiamo continuato ad investire in nuove realtà in settori industriali di aziende Italiane. Quindi sì, alla fine ho seguito il consiglio di mio padre di fare l’imprenditore".

Qual è la cosa più importante da tenere a mente per fare l’imprenditore oggi?

"Crescere attraverso le persone, l’innovazione e la capacità di assecondare le richieste del mercato. Per farlo ci vogliono coraggio e un po’ di incoscienza. Noi siamo un Paese che non ha materie prime ma siamo sempre stati dei grandi ideatori e trasformatori in tutti i settori e a tutti i livelli. Il made in Italy non è scritto sui libri, è la capacità di sapersi districare nei problemi e arrivare a fare prodotti migliori degli altri. Nessuno è più bravo dei noi italiani".

Nella vita di un’impresa così come di una città come Monza?

"Certo. Monza è una città ricca di eccellenze, ma a dimensione d’uomo, con asset straordinari come il Parco, la Villa Reale e l’autodromo".

Tifoso?

"Appassionato. Da sempre. Come molti monzesi sono cresciuto con l’autodromo e la passione per i motori. Ne ho fatte di ogni per seguire i Gran premi, dormendo anche in tenda nel Parco di Monza".

Sportivi del cuore?

"Nel tennis oggi tifo Sinner, ma anche gli atri giovani italiani. Da ragazzino, Borg era l’idolo come Thoeni nello sci. Nella F1 mi piaceva Jody Scheckter da quando correva con la Tyrrel a 6 ruote".

E il calcio?

"Sono sempre stato tifoso del Milan. Il Monza lo seguivo con simpatia ai tempi della Serie C. Con Giambelli ci fu l’anno dell’illusione di poter arrivare in Serie A. Era il tempo del motto ‘con Buriani e Tosetto vinceremo lo scudetto’. Furono venduti tutti e due. Al Milan che poi vinse lo scudetto della Stella… il Monza comunque l’ho sempre nel cuore e dico grazie a Berlusconi che con Galliani ha portato il Monza a coronare il sogno della Seria A".

Qual è la relazione tra Monza e Milano?

"Gli asset di Monza potrebbero essere meglio valorizzati all’interno di una “grande Milano”. La grande Milano non fa perdere a Monza le sue peculiarità, anzi, le valorizza. Pensiamo alla storia infinita della metropolitana: io l’avrei voluta fin da ragazzo, sognavo di trovare le indicazioni per Monza dall’aeroporto di Malpensa! Monza ha delle potenzialità enormi. La Villa Reale e il Parco non devono essere tenuti come una bomboniera in una vetrinetta. Dobbiamo realizzare un grande progetto per valorizzare questi asset a livello internazionale".

Come l’autodromo.

"È il più antico autodromo al mondo dove si corre il gran premio di F1, ma non c’è ancora un museo che ne racconti la sua storia. L’autodromo deve vivere 365 giorni l’anno, non solo con le competizioni, ma come centro per lo sviluppo dell’auto del futuro e con clienti privati organizzati, soprattutto stranieri, per avere maggiori ricavi dall’affitto del circuito e ricadute economiche sulla città".