C’era una volta una fabbrica di locomotive, la storica Breda e c’è oggi una “fabbrica“ di idee e di arte in un quartiere plasmato dalla architettura. Il luogo in cui sorgeva la Breda non era casuale, era quella periferia operaia che ospitava, a pochi metri, anche le case dei lavoratori, in quel lembo di Milano che sta a cavallo tra gli ultimi scampoli della città e Sesto San Giovanni. L’intero quartiere Bicocca, così come è oggi, è il frutto di un progetto di riqualificazione post-industriale firmato dallo studio dell’architetto Vittorio Gregotti. Il grande quartiere accoglie edifici di interesse urbanistico e monumentale: l’omonima Università, il Teatro degli Arcimboldi, l’Hangar Bicocca e l’"headquarter" Pirelli. Sono i simboli di una Milano che parte da una storia che ancora si respira ed è in continuo divenire. La storia dello spazio che oggi dialoga con l’arte contemporanea al punto da essere diventato uno dei maggiori poli culturali europei è strettamente legato alla storia della Breda, società fondata nel 1886 dall’Ingegner Ernesto Breda che a partire dal 1903 decide di spostare l’azienda nel quartiere Bicocca. Come lui, faranno anche Pirelli, Falck e Marelli, trasformando l’area in uno degli insediamenti industriali più importanti d’Italia.
La Breda produceva soprattutto carrozze ferroviarie, locomotive elettriche e a vapore, caldaie, macchine agricole e utensili a cui, durante il primo conflitto mondiale, si aggiunse la fabbricazione di aerei, proiettili e altri prodotti di impiego bellico. L’intero quartiere Bicocca, nel corso del Novecento, rappresentava una delle più grandi zone industriali italiane; dagli anni ’80 in poi tutta l’area è stata protagonista di un lungo processo di deindustrializzazione e riconversione urbana. Per decenni quell’immensa struttura era uno spazio di fabbriche e sudore, più vasto di un campo di calcio. Squadre infinite di operai, di quando la vicinissima Sesto San Giovanni vantava il titolo di “Stalingrado d’Italia“, hanno costruito turbine e locomotori. Nel 1985 un concorso a inviti bandito dalla Pirelli per la riconversione dell’area industriale in polo tecnologico e di ricerca segnò l’inizio di un profondo cambiamento. Fu come una accelerazione dovuta alla percezione delle trasformazioni in atto, in una Milano che doveva rinascere con l’architettura. Gli studi invitati a pensare a questo grande progetto furono tra gli italiani Vittorio Gregotti, Gabetti e Isola, Aymonino, Aldo Rossi, Renzo Piano e Gae Aulenti e tra gli stranieri Rafael Moneo, Richard Meier, Frank Gehry e Rem Koolhaas.
La sfida era ripensare un’area molto estesa che doveva nuovamente riconnettersi alla città. Si trattava insomma di riprogettare un intero quartiere che occupava una vasta fetta di città.
Si aggiudicò il progetto lo studio Gregotti che mise a terra un piano di per sè visionario, ma negli anni non esente da critiche perché giudicato non capace di ricucire il quartiere alla vita quotidiana di una città. L’Hangar come lo vediamo oggi nasce nel 2004 dalla riconversione dello stabilimento industriale. Lo spazio dedicato all’arte fu ricavato da quella sterminata navata, dalle pareti e dal tetto scurissimi illuminate dalle lame dei fari, lì si innalzano i “Sette Palazzi celesti“ ideati da Anselm Kiefer, artista tedesco - è nato a Donaueschingen, nel 1945 - fra i più importanti, e anche più controversi, sulla scena mondiale.
Simbolo permanente dell’Hangar che ospita poi. di volta in volta, mostre temporanee, e anche uno spaqzio dedicato alla creatività dei bambini, sono sette torri in cemento e piombo. Alte dai 13 ai 16 metri. Pesanti 80 tonnellate l’una. Appoggiate sull’originario pavimento di cemento grezzo. Moduli di container l’uno sull’altro, in apparenza fermi in un instabile equilibrio. Ancora più instabili, dal basso, i giganteschi libri che le coronano.
"Quando ho visto per la prima volta questo spazio molto forte - aveva spiegato Kiefer alla presentazione - vi ho ritrovato le tracce del lavoro di molte persone. Vi ho sentito un accumulo di claustrofobia di lavoro. Una sfida. Che mi ha spinto al confronto".
Re.Mi.