di Andrea Gianni
MILANO
Una "terra di nessuno" che si è trasformata in una "nuova centralità". Al posto delle fabbriche dismesse sorgono gli uffici del business district The Sign che a pieno regime ospiteranno oltre 2800 persone, gli studenti Iulm si confondono con impiegati e nuovi residenti. Incontriamo l’architetto Massimo Roj, vincitore del Compasso d’Oro Adi 2024, nella sede al civico 6 di via Russoli del Gruppo Progetto CMR, galassia di società specializzate nella progettazione integrata, protagonista della nuova vita del quartiere circostante. Un palazzo riqualificato dove si alternano opere d’arte, cimeli calcistici e rimandi ai grandi della musica voluti dall’architetto Roj, che ha inventato la “Rocktecture“, connubio tra rock e architettura.
Roj, che volto aveva in passato questa zona?
"Sono nato e cresciuto in Ticinese e qui venivamo con la moto a fare fuoristrada. C’erano siti industriali, detriti, per noi era una terra di nessuno. Ho anche un ricordo drammatico, legato alla strage di via Schievano (l’omicidio di tre poliziotti l’8 gennaio 1980, rivendicato dalle Brigate Rosse, ndr). Poi mi sono ritrovato, a distanza di decenni, a tornare qui lavorando allo sviluppo di The Sign per Covivio. Esplorando la zona abbiamo anche trovato questo edificio e abbiamo deciso di costruire qui la nuova sede di Progetto CMR. Stiamo contribuendo a cambiare il volto del quartiere, ci sentiamo partecipi di questo processo".
Qual è l’idea che ha ispirato The Sign?
"Considero gli edifici come organismi viventi, e gli esseri umani sono il fluido vitale che scorre dentro e fuori gli spazi. Quando le persone escono, l’edificio perde la sua vitalità, le luci si spengono e rimane muto. Per questo ho ritenuto fondamentale portare vitalità nelle facciate. Per le Torri Garibaldi, un altro dei nostri progetti, abbiamo pensato a una pietra preziosa in grado di riflettere la luce. Qui, considerando che siamo in un luogo diverso, abbiamo lavorato su due elementi: il materiale metallico, perché ci troviamo su una ex fonderia, e la scomposizione dei volumi per rendere dinamica la facciata. Poi il “segno“ luminoso, che parte dalla stazione e attraversa gli edifici. Ho guardato il sole al tramonto e, così, ho scelto il colore giallo oro per la facciata. Una facciata che vira a seconda dell’incidenza solare. Questo per i primi tre edifici mentre per il quarto, in costruzione, abbiamo scelto di cambiare".
Come?
"Mi è sembrato più corretto non fare un’autocitazione dell’esistente ma creare qualcosa di diverso. Abbiamo trovato un altro colore che ricordasse l’origine industriale: un metallo grigio che sfuma verso l’azzurro e il blu, con una facciata cangiante".
Come avete affrontato l’aumento dei costi di costruzione, che ha riguardato numerosi progetti dopo la pandemia?
"Il cliente è intervenuto chiedendo la revisione del progetto iniziale per un contenimento dei costi. Per rispettare i budget abbiamo dovuto rivedere alcune scelte, è stata una sfida impegnativa".
Che cosa rappresenta, ora, questo quartiere?
"Rappresenta la città policentrica, la trasformazione di un ambito periferico in una nuova centralità ultra ben servita dal trasporto pubblico e con percorsi ciclopedonali. Più di 2800 persone verranno a lavorare qui, ci sono 10mila studenti Iulm, rispetto a quando ero ragazzino è un’altra città. Abbiamo riconquistato un’area rimasta preclusa e recintata per vent’anni, anche con spazi verdi aperti a tutti. Per quando saranno finiti i lavori del quarto edificio, il D, stiamo lavorando a un’opera di street art per celebrare il completamento di questo percorso: la nostra idea è quella di posizionare nelle nuove piazze un’opera d’arte come si faceva in passato, restituendo alla città qualcosa di bello".