L’acronimo c’è. E per chi considera la brevità come rifugio mentale per sfuggire alla debordante abbondanza di parole e meta-messaggi della pubblicità e dei social, già questo è un punto a favore. Portarsi appresso anche un nome che evoca una mitica terra di vini e gioie bucoliche nella lontana California provoca simpatia. E allora, c’è più di una ragione per andare a curiosare nella Milano che appoggia il fondoschiena lungo il Naviglio Pavese e che si fa chiamare Na.Pa. Certo, quello che si specchia nel "canale di ritorno" decisamente meno snob del più modaiolo e turistico Naviglio Grande, non consegna alle cronache il quartiere più fotogenico e romantico della città. Ma uno dei più originali e intriganti, questo sì. Perché lungo i due affacci compresi tra la circonvallazione (viale Liguria) e la campagna aperta (Parco Agricolo Sud) c’è una ricchezza di storie e atmosfere che a molti ricorda quella della parigina Belleville e della berlinese Neükolln.
Un punto di riferimento? Facile: il piccolo ponte panciuto e giallo fluo che collega i due lati del canale, quello più agitato di via Ascanio Sforza e quello più rilassato dell’Alzaia Naviglio Pavese. E allora, via con le sorprese. Cominciando da quella più luminosa, perché l’idea del Na.Pa era nata anni fa nell’ex-riseria Metalla, sede della multinazionale di comunicazione Altavia e punto di riferimento del quartiere, grazie alla verve di un "agitatore culturale" come Fabio Vergottini.
E dove peraltro ha trovato una sua sistemazione il bistrot “DistrEat“ dei giovani Federico Sordo, Andrea Pirelli e Guido Dossena, autori di una delle esperienze di ristorazione contemporanea più empatiche di questa fetta di Milano storicamente operaia, oggi corteggiata da artigiani e studenti perché la “gentrification“ è ancora sotto controllo.
Non che sia meno intrigante Motelombroso, sempre sull’Alzaia oggi percorsa da una deliziosa ciclabile che punta verso Pavia, con quel mix di cucina creativa (complimenti allo chef Nicola Bonora), garbo e convivialità dentro una vecchia casa cantoniera (un tempo abitata dal guardiano che si occupava della chiusa del Naviglio) che basterebbe a fare di Alessandra Straccamore e Matteo Mazza una delle coppie più ispirate nella geografia dei ritrovi gourmet. Ma è giusto dare un meritato riguardo anche all’altra sponda. Perché Fabrizio Paganini ha trasformato la mitica Osteria Grand Hotel in un indirizzo elettivo delle sere meneghine (piatti della tradizione italiana: tra gli altri, l’ottimo stinco di agnello a cottura sottovuoto), seppur privo della verve cabarettistica che decenni fa attirava personaggi come Lella Costa, Paolo Rossi e Bisio.
A pochi metri, l’Antica Osteria del Mare è una dedica alla pregevole cucina mediterranea d’ispirazione sarda. E nel bel mezzo, al civico 87, l’ex-edificio industriale ricoperto da un gigantesco murale dell’argentino Elian Chali, ospita la Cantina Urbana, prima azienda di produzione vinicola di Milano dove si fa vendemmia e dove vengono affinati rossi e bianchi da uvaggi nobili dell’Oltrepò, senza scordare che il patron, Michele Rimpici, è riuscito a regalare a questo angolo di città anche un’intrigante osteria per degustazioni e assaggi golosi. A pochi passi, al Llama Maki, in via Spaventa, è la cucina Nikkei di Gustavo Morales a prendersi la scena e a proporre un viaggio sensoriale tra i sapori della tradizione peruviana con accenti orientaleggianti. Ma su via Ascanio Sforza è DonnaeMadre a meritarsi il podio valoriale del Na.Pa, onlus che si prende cura appunto delle donne e madri in difficoltà e vero ombelico del quartiere per la sua capacità di animare iniziative soldali e sociali.
Giusto tornare sull’Alzaia. Perché è lì che si materializza uno dei "Distretti gastronomici e slow" più open minded di Milano e presto anche tra i più green se è vero che sta nascendo una Comunità Energetica che prevede l’installazione di grandi pannelli fotovoltaici in un terreno vicino. Un’immagine che si esalta anche grazie alla Scuola di Cucina Farm 65 dei fratelli Dorigo, in quella che un tempo era la Cartiera Binda; e a quel gioiellino della ristorazione versione “farm to table“ annunciato dall’insegna "Erba Brusca", davanti ad un piatto ingentilito dal gusto acidulo della pianticella che dà il nome al locale di Alice Delcourt e Danilo Ingannamorte. Magia pura.
Che si sublima tra campagna, orti, rogge. E davanti alla "Lusiroeula", attorno alla Cascina Campazzo e nel Parco del Ticinello, quando migliaia di piccoli coleotteri s’illuminano nella recita corale che annuncia l’accoppiamento. Spettacolo sognante. Quelle che si accendono nelle sere d’inizio estate non sono lanterne. Ma vere lucciole.