Un caffè al Giamaica con la Vita Agra. E quell’architettura amata dalla borghesia

Caffè, localini, negozi che hanno fatto tendenza nella storica Brera una volta il luogo in cui gli artisti pianificavano la rivoluzione culturale. E poi la Torre Rasini e un’ora di relax a bordo piscina a Villa Necchi.

Caffè, localini, negozi che hanno fatto tendenza nella storica Brera una volta il luogo in cui gli artisti pianificavano la rivoluzione culturale. E poi la Torre Rasini e un’ora di relax a bordo piscina a Villa Necchi.

Caffè, localini, negozi che hanno fatto tendenza nella storica Brera una volta il luogo in cui gli artisti pianificavano la rivoluzione culturale. E poi la Torre Rasini e un’ora di relax a bordo piscina a Villa Necchi.

"Stravagante, giovane e internazionale. Un po’ parigina, un po’ bohèmien": ecco Brera con le parole dell’architetto Michele De Lucchi. E, in effetti, a cercare bene, Brera ha ancora un po’ quell’aria da quartiere di artisti e intellettuali che facevano la rivoluzione dai tavolini del bar Jamaica. Una comune di editori, giornalisti, teatranti e pittori, che rifiutava il modello piccolo borghese del boom economico. Erano gli anni Sessanta quelli della "Vita Agra" di Luciano Bianciardi. Poi c’è stata la contestazione, la "Milano da bere" e la globalizzazione, ma quella è un’altra storia. Oggi il quartiere, dopo i cambiamenti della tanto contestata gentrificazione, ha riconquistato il cuore degli architetti più affermati. il Jamaica come è sempre esistito, così continuerà ad esistere. L’origine del nome? La più accreditata è quella del musicologo Giulio Confalonieri che in una giornata particolarmente uggiosa avrebbe consigliato di chiamare il locale “Jamaica” citando il titolo di un film di Hitchcock del ’39 che rimandava ad una remota taverna affacciata sulle scogliere del Regno Unito Con tanto di differenze di orari e clientela: ceto medio-alto la mattina, turisti a mezzogiorno, giocatori di carte il pomeriggio e una clientela più trasversale la sera. Brera è una piccola “Montmartre”da frequentare anche la domenica mattina per una bella passeggiata perima del brunch quando il quartiere regala molte belle bancarelle.

E non può mancare uno sguardo alle vetrine di "Robertaebasta" una vera e propria istituzione di Brera, design e arredo eclettico, niente di scontato. Pezzi d’autore che sono stati raccolti in giro per l’italia e per il mondo. Nel cuore di Brera, per sognare un po’ e immergersi nell’ atmosfera della borghesia siciliana ci sono gli abiti capolavoro di Luisa Beccaria.

Non passano inosservati quegli abiti, nuvole leggerrissime di colori pastelli che ricordano l’estate.

Ma non di sola Brera è fatto il centro. Certo anche oggi che è diventata molto turistica mantiene vivo quel fascino che gli deriva dalla storia. E in quelche stradina conserva ancora quel che di molto borghese.

Ed, a proposito di borghesia, nel centro di Milano non si può non fare una sosta a Villa Necchi Campglio, un gioiello, una residenza custode di capolavori d’arte al 14 di via Mozart. Fa parte del circuito delle “Case museo di Milano”. Fu costruita tra il 1932 e il 1935 come casa unifamiliare su progetto da Piero Portaluppi, uno dei più grandi architetti italiani di quel periodo, ed è circondata da un ampio giardino con campo da tennis e piscina, la seconda piscina (dal punto di vista cronologico) di Milano dopo quella municipale, e la prima ad essere realizzata su un terreno privato. Angelo Campiglio morì nel 1984; le sorelle Nedda e Gigina morirono nel 1993 e nel 2001. Non avendo figli, le sorelle si preoccuparono di trovare una destinazione adeguata alla casa, e la lasciarono in eredità al FAI. Proprietari erano esponenti dell’alta borghesia industriale lombarda colta, ed il loro tenore di vita è testimoniato dall’edificio, progettato e costruito dallo stile architettonico nascente (il razionalismo italiano). I Necchi- Campiglio erano una famiglia di industriali attivi nel segmento della produzione di ghise smaltate e macchine da cucire (il celebre marchio Necchi).

Oggi la villa è visitabile e accanto, nel giardino, è stato ricavato un bar in cui si può fare una colazione e stare a bordo piscina, una vera immersione in quella Milano borghese dal fascino tipicamente lombardo. E se l’architettura è il filrouge di una camminata in porta Venezia, non si può allora dimenticare la Torre Rasini. La rossa torre che domina la zona di Porta Venezia nasce, insieme al bianco e basso edificio che la fiancheggia, sui tavoli degli architetti Emilio Lancia e Giò Ponti nel 1933. I dodici piani, che guardano verso i bastioni con un corpo semicircolare e conclusi da un’altana superiore, sono fasciati da una tessitura di mattoni disposti in modo alternato. Attraversando i giadini di Porta Venezia, per uno sguardo sull’arte c’è il Pac, il padiglione di arte contemporanea e porseguendo lungo la strada si arriva in via Mazoni, nel Quadrilatero. Una sosta perché è un pezzo di storia della gioelleria, bisogna farla da Pennisi, la bottega storica di Milano che racconta i gioielli antichi da cinquant’anni. . Il negozio aperto dal commerciante di diamanti Giovanni Pennisi, oggi gestito dalla sua terza generazione, i cugini Gabriele ed Emanuele Ferreccio, è luogo di culto dell’eleganza ricca e sobria. Gioielli che le signore portavano alle serate da trascorerer al Piermrini, la Scala, poco più in là.