"Lavoriamo in un grande teatro. Essere alla Scala è un privilegio: questo ti fa dimenticare tutte le paure e tutte le ansie". Inutile provare a chiedere a Dominique Meyer se sia agitato per il red carpet di Sant’Ambrogio, l’ultimo del suo mandato da sovrintendente del Piermarini: vi risponderà che in teatro non c’è solo l’attesissimo debutto di stasera, ma ce ne sono altri dodici nella stagione d'opera. Eppure, il 7 dicembre è sempre il 7 dicembre. E lui, da manager pragmatico che ne ha viste tante, lo sa benissimo e sta al gioco.
Sovrintendente Dominique Meyer, perché avete scelto "La forza del destino" per inaugurare il cartellone 2024-25?
"Con il maestro Chailly abbiamo deciso di presentare un altro titolo importante della storia della musica. Una grande opera di Verdi, un pezzo importante del suo itinerario. È un titolo da Prima, con un cast di altissimo livello".
Già, il cast. Questo titolo ne ha bisogno più di altri?
"Tutte le opere ne hanno bisogno, ma questa in particolare. Abbiamo la fortuna di avere artisti eccezionali in questa generazione: non ce ne sono di questo livello in tutte, non è scontato. Quindi, quando ci sono, è bene sfruttarne al massimo le capacità. Oltre ai grandi nomi, vi invito anche a tener conto dei “comprimari di lusso”: alla Scala bisogna guardare non solo alla parte alta della locandina, ma anche a quella bassa. In questi anni, abbiamo lavorato tanto su questo aspetto, dando chance a giovani artisti che se lo meritavano per il loro talento".
Lei ha detto che spera che questa Prima lasci un segno nella storia recente del teatro.
"Tutti i sovrintendenti si augurano che uno spettacolo lasci una traccia: siamo qua per creare dei ricordi. So benissimo che un’opera è complessa e che di conseguenza ci sono motivi per fallire e motivi per avere successo. Noi, però, ci abbiamo messo tutti gli ingredienti per ottenere un grande risultato: un cast eccezionale, la direzione del maestro Chailly e un coro in stato di grazia".
Nell’opera si parla di guerra. Scontato il parallelo con i conflitti che stanno funestando il mondo negli ultimi anni, o no?
"Non si può non pensare a quello che succede oggi: l’idea che ci sia stato un miglioramento dell’umanità nel corso della Storia si scontra proprio con i conflitti in corso, che ci fanno invece constatare che le pulsioni di vendetta e di prevaricazione sull’altro continuano a generare effetti disastrosi. Certo, negli ultimi decenni l’idea della guerra si era allontanata da noi perché avveniva in luoghi distanti dall’Europa; ora si è nuovamente avvicinata dal punto di vista geografico".
Ne "La forza del destino" c’è un po’ di tutto: come si legge in un testo di Gino Roncaglia, citato anche da Chailly, quest’opera può essere considerata “uno zibaldone”. Un po’ come la sua avventura alla Scala.
"Ho vissuto di tutto. Ho lavorato come un pazzo, con passione, ma mi sono divertito. Ho iniziato con la pandemia: siamo riusciti a tenere la testa fuori dall’onda, proteggendo le finanze e i lavoratori. Giorno dopo giorno, mi sono appassionato sempre di più a questo teatro: ho voluto modernizzarlo, oggi la Scala non somiglia a quella di cinque anni fa. Ci siamo dedicati alle masse artistiche: abbiamo ricostruito il coro, che aveva molti posti vacanti; abbiamo ringiovanito l’orchestra; abbiamo reso ancor di più il corpo di ballo una nostra punta di diamante. Abbiamo scelto proposte molto varie dal punto di vista artistico, presentando grandi direttori e grandi registi e affrontando i grandi gioielli dell’Ottocento senza paura. Ma la cosa più bella di tutte è un’altra".
Quale?
"Ci siamo trovati bene insieme: abbiamo fraternizzato, come una famiglia. Abbiamo fatto un bel percorso insieme".
Dopo il debutto alla Scala della seconda versione de "La forza del destino" il 27 febbraio 1869, Verdi scrisse al giornalista Opprandino Arrivabene: “Sono ritornato qui ieri sera da Milano a mezzanotte stanco morto di fatica. Ho bisogno di dormire quindici giorni di seguito per rimettermi". Lei di quanti giorni avrà bisogno?
"Non esageriamo. Le posso dire che dormo poco ma molto bene. È un privilegio lavorare alla Scala: questo ti fa dimenticare tutto".
Lei crede nel destino?
"No, ma mi ritengo un uomo molto fortunato".