Quattro epoche e quattro stagioni si inseguono sulla scena e negli abiti de La forza del destino, curati dalla costumista Silvia Aymonino.
Come si è sviluppata la fase di ricerca?"La documentazione è la parte che mi appassiona di più, da sempre, ed è la prima cosa che ho voluto insegnare ai giovani costumisti. Durante la ricerca creo grandi collage, che non sono moodboard: unisco alle immagini il carattere dei personaggi, i colori, le tecniche. Non riesco a disegnare senza prima aver guardato i collage: è la fase più creativa e il disegno ne è la sintesi. Li realizzo a mano, anche se il buon Photoshop velocizzerebbe: preferisco prendermi il tempo per cercare, ritagliare, mettere insieme. E condivido man mano i materiali con i colleghi: è un lavoro di squadra".
Avete dovuto affrontare quattro epoche: un’impresa?"Gigantesca. Come approccio studio sempre diverse epoche anche per vedere come quanto scritto rimbalzi sull’oggi. Con questa trasversalità mi affaccio a qualsiasi opera, anche se in questo caso è davvero colossale, alla “Ben-Hur“. E non solo per le quattro epoche".
Quanti costumi ha realizzato?"Il coro è immenso, con 105 elementi, più 24 mimi, nove solisti, che cambiano abito ogni volta. Mi rifiuto di contarli, ma siamo intorno ai 450 costumi".
Come ha vestito la diva Netrebko?"La figura di Leonora non ci lascia molte chance: inizia l’opera mentre si traveste da uomo per scappare, la ritroviamo vestita da uomo e poi da monaco. All’inizio ero un po’ titubante sul come si potesse sentire lei in questi abiti, ma è stupenda. L’ho incontrata per le prove in costume: ricordava dettagli dei primi bozzetti in bianco e nero".
A sfilare sono pure le stagioni."Tutti gli atti, seppur ambientati in periodi e in luoghi diversi, iniziano con una stagione. Questa ciclicità è stata il fil-rouge".
Che tessuti vedremo nella Forza del Destino?"Un unico tessuto, il lino, che viene tinto: la scena cambia così tante volte e ci sono così tanti personaggi che ho pensato di dare leggerezza. Via i dettagli che appesantiscono, i soldati non hanno spalline d’oro. Ciascuno ha il taglio giusto e ricercato, ma è come stilizzato. Anche con i colori diamo l’idea dei secoli che passano".
Come?"L’Ottocento è grigio chiaro, ma in sfumature diverse, nelle fodere ci sono cinque arancioni. Per la prima Guerra Mondiale ho immaginato riflessi grigio-verdi, che creano piccoli movimenti. Dopo avere tinto le basi interveniamo sopra ogni abito, con elaborazioni o “invecchiandoli“ a seconda delle epoche".
Sullo sfondo c’è sempre la guerra."Nel Settecento e Ottocento grandi pittori e stampe ce la raccontano, non è in soggettiva. Si entra in una modalità più realistica nel Novecento, con la fotografia, per vedere l’orrore, e negli anni Duemila, con video, luci e foto a colori. Negli abiti, i colori nel Settecento sono più “puliti“, hanno meno segni di usura, nell’Ottocento sono ombreggiati, nel Novecento ci sono colate che invecchiano, nel Duemila polvere e cemento".
Quanto è durata la lavorazione?"Non tantissimo in realtà per un’operazione del genere: un anno dalla comunicazione del progetto per i bozzetti, le campionature, la ricerca. La produzione vera e propria è iniziata tra giugno e luglio, con i prototipi e la realizzazione".
È il primo 7 dicembre per lei: come lo si vive?"Per me è un grande piacere, sono entusiasta. Con il nostro gruppo di lavoro, guidato dal regista Leo Muscato, si può affrontare qualsiasi difficoltà. Lavoriamo insieme da anni, non ci sono crepe. Qualsiasi problema si affronta insieme e la risposta è compatta. Come costumista ho lavorato alla Scala altre tre volte e tantissime da giovane e giovanissima assistente in sartoria. È un po’ casa per me".
Occhi puntati sui costumi, anche nel foyer."E non vedo l’ora: è un bel regalo per me, mi siederò e mi godrò lo spettacolo dei costumi del pubblico. Già alla Primina ho visto pezzi da novanta".