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Il cibo e la vita dello chef Bartolini: “Milano? Città pazzesca che mi ha aperto la mente”

Il racconto del secondo chef più stellato al mondo, nel suo ristorante al Mudec

Il cibo e la vita di Bartolini: "Milano? Città pazzesca che mi ha aperto la mente"

Lo chef pluristellato Enrico Bartolini, classe ’79, toscano, milanese d’adozione

"Milano mi ha dato molto, mentre io non dirò mai che ho dato a Milano". Una grande riconoscenza e umiltà traspare dalle parole di Enrico Bartolini, malgrado il successo e lo status di secondo chef più stellato al mondo, con ben 13 “macaron“ sulla Guida Michelin. Classe 1979, originario di Castelmartini, in Toscana, Bartolini è l’unico nella storia della “Rossa“ ad aver conquistato quattro stelle in un colpo solo, di cui due per il ristorante all’interno del Mudec-Museo delle culture di Milano. E proprio qui, in un locale ormai tristellato - l’unico in città - si è tenuto ieri l’evento From Irish Farm to Italian Fork, un percorso in cui l’arte culinaria italiana incontra l’eccellenza dei prodotti irlandesi. A partire dalla carne di manzo grass fed, che ha ottenuto dall’Unione europea lo status di Indicazione geografica protetta.

Questo prodotto è una novità della sua cucina?

"È una novità del mercato. È un manzo di eccellente qualità: vive in immense distese di verde con erbe speciali che arricchiscono la carne di betacarotene. E quindi la cucino con orgoglio".

Com’è cambiata la sua cucina da quando è a Milano?

"Io amo ascoltare, i collaboratori e i miei ospiti. I loro commenti vengono raccolti e analizzati per fare meglio: quel che è emerso è che i clienti sono sempre più alla ricerca di un luogo specializzato in qualcosa. Allora noi ci siamo specializzati in un percorso, restringendo le scelte, ma non dicendo mai di “no“: l’alternativa c’è sempre, per venire incontro alle intolleranze e alle voglie del cliente. E poi la città è uno specchio sul Mediterraneo, una metropoli internazionale: la clientela è spesso straniera, colta, benestante, gira il mondo e cerca da Milano l’italianità. E soprattutto cerca da noi un’interpretazione unica e originale".

E in cosa è unica la sua cucina?

"Non sta a me dirlo – sorride –. Comunque io cerco di catturare l’ingrediente, interpretandolo: se in natura è buono, io devo renderlo ancora più buono".

Che peso ha avuto Milano sul suo successo e la sua persona?

"Ha accelerato tanti processi. Mi ha responsabilizzato, perché l’arrivo in città è stato oneroso per uno come me abituato alla provincia. E poi mi ha aperto la mente, mettendomi in contatto con persone per cui è normale viaggiare, vivere nel lusso e nella moda. Ringrazio Milano perché è una città pazzesca, mi sento molto fortunato a stare qui".

Non è forse troppo costosa?

"È costosa, ma i costi sono reali: fare delle attività ben organizzate richiede un impegno finanziario. È vero, il prezzo degli affitti è alto: un sacco di ragazzi che lavorano qui hanno questo problema. Io devo fornire alloggio a chi viene da lontano, o metterli in condizione di trovarlo, altrimenti mi manca lo staff. Ma di miglioramenti ne ho visti negli ultimi anni. E io non faccio l’elenco delle disgrazie, semmai quello delle cose da migliorare. Funziona così anche nel mio ristorante...".

Oltre a cucinare a lei piace anche mangiare?

"Molto! Soprattutto prodotti di stagione: ora nel mio frigo c’è una bellissima zucca e del prosciutto crudo di Parma. Io cerco ingredienti buoni, li manipolo il meno possibile e non mi faccio mai mancare la varietà: sono uno da alimentazione mediterranea, e un pochino si vede. Però cerco di tenermi: facendo questo mestiere è un attimo ingerire qualche caloria in più".