ANDREA SPINELLI
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La magia del Cirque du Soleil. Riecco Alegria, 25 anni dopo: “Sogni, canzoni, fiato sospeso: dietro le maschere, esseri umani”

In scena 54 artisti di 17 diverse nazionalità e dietro il sipario 64 professionisti dello spettacolo "Come si trova armonia? Le distanze politiche superate dal rispetto spontaneo per gli altri...".

Cirque du soleil

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"Come un lampo di vita, come un pazzo gridar…". Per il Cirque du Soleil è sempre tempo di “Alegría”, il suo spettacolo più famoso, portato in scena nel 1994 dal regista irpino Franco Dragone e reinventato nel 2019 dal canadese Jean-Guy Legault nella versione “in a new light” che dal 25 aprile al 2 giugno approda col suo tendone in Viale Italia a Sesto San Giovanni.

"L’originale ha chiuso nel 2014, ma la richiesta del pubblico era così alta e l’affetto del Cirque per questo suo show così forte che, per la prima volta nella storia della compagnia, si è deciso un riallestimento", racconta Rachel Lancaster, direttrice artistica di questa versione 2.0 del kolossal più amato dai fans del colosso circense canadese. "In 25 anni, infatti, il mondo era cambiato, le tecnologie pure, quindi si è pensato di mettere a confronto i creativi e gli artisti di ieri ancora in attività con una nuova squadra per provare ad accendere una nuova luce su quel classico da ‘grand chapiteau’ senza tradirne lo spirito originale".

Fedele a questo principio, la storia rimane la stessa di sempre; quella di Fleur, giullare di corte goffo e stralunato che ambisce alla corona di un regno in bilico tra status quo e voglia di cambiamento. In scena ci sono 54 artisti di 17 nazionalità diverse e dietro altre 64 persone tra coreografi, scenografi, costumisti, attrezzisti, responsabili di produzione, così il retropalco durante le prove pomeridiane brulica di varia umanità come la contorsionista mongola Oyun-Erdene Senge, i comici spagnoli Pablo Gomis López e Pablo Bermejo, o il light-designer friulano Stefano Visintin.

Questo “remake” cosa si porta dietro del primo “Alegria”?

Lancaster: "La trama è iconica, quindi intoccabile, e le musiche pure. Non per niente tutti i sogni e le canzoni-chiave sono ancora lì. Abbiamo cambiato gli arrangiamenti di molti brani, questo sì, ma i numeri-cardine dello spettacolo, a cominciare dalle Russian Bars, mantengono il pubblico col fiato sospeso come nel ’94. Per i costumi siamo passati all’utilizzo di tessuti più leggeri e resistenti degli originali, per lo più lycra che aderisce come una seconda pelle, attualizzandone il taglio in modo da incontrare i gusti anche di giovani e giovanissimi".

La colonna sonora di René Dupéré, in nomination ai Grammy 1995 e ancora oggi la più scaricata fra quelle del Cirque, com’è stata rivisitata?

Lancaster: "Nel ripensare quelle musiche fortunate c’è stato un pre e un post pandemia. La prima rielaborazione, quella del 2019, si concentrava molto sull’elettronica togliendo qualcosa al ricordo che il pubblico aveva della versione originale. Così, durante la sosta forzata causa Covid, abbiamo messo mano nuovamente al repertorio riportando in primo piano le voci e la musica suonata".

Con oltre 4 mila dipendenti, è difficile trovare nel mondo dello spettacolo famiglia più numerosa di quella del Cirque du Soleil.

Senge: "Beh, è vero. Per me, ad esempio, ‘Alegría’ è casa. Ho iniziato a fare contorsionismo all’età di sei anni, ad esibirmi a dieci e il casting del Cirque l’ho fatto ad undici ed è stata una vera favola poter viaggiare, scoprire sempre cose nuove, incantare fin dalla più tenera età il pubblico con le arti tradizionali del mio paese. Sono letteralmente cresciuta sotto al tendone di ‘Alegría’, prima della versione originale e poi, per chiudere il cerchio, di questa".

Visintin: "C’è chi dopo un anno di spettacoli in giro per il mondo abbandona e lo capisco, perché la vita normale manca un po’ pure a me. Ma il Cirque tira fuori il meglio della gente che lo viene a vedere, la fa stare bene, facendo sentire te che ci lavori parte di qualcosa di speciale".

Gomis López e Bermejo: "È molto facile lavorare per il Cirque. Coi vent’anni d’amicizia che ci portiamo sulle spalle, sul palco ci lasciamo trasportare da ciò che accade, perché siamo come una vecchia coppia di sposi che sa già tutto, nel bene e nel male".

Quanto impattano in questa “famiglia” multietnica, multilingue e multiculturale eventi traumatici esterni come la guerra?

Lancaster: "In una comunità basata sull’affidamento reciproco come quella circense, le distanze politiche vengono necessariamente superate dal rapporto umano, dal rispetto verso gli altri che affiora spontaneo in ogni membro. E la struttura che è alle spalle fa di tutto per proteggere questa armonia".

La pandemia ha bloccato pure la vostra attività comportando poi, al momento della ripresa, una selezione naturale delle produzioni. “Alegría - In a New Light” è stato uno dei primi a tornare sulla strada.

Visintin: "Questo è accaduto innanzitutto per ragioni di popolarità. ‘Alegría’ è lo spettacolo del Cirque più conosciuto al mondo e quindi un suo biglietto da visita importante, cosa che ha indubbiamente pesato sulla scelta di riportarlo in tour prima possibile. In più è uno spettacolo molto semplice, composto da numeri particolarmente belli, con dei clown decisamente divertenti, quindi ideale per dare immediatamente al pubblico un senso di ritrovata normalità".

Lancaster: "I mesi di ripartenza sono stati fantastici. Ogni volta che rimettevamo in strada uno spettacolo era come debuttare nuovamente, con tutte le attese, le esuberanze, le lacrime di gioia della première".

La sfida più grossa di “Alegría” qual è?

Lancaster: "Quella di avere in cartellone oltre 300 repliche l’anno. E assicurarsi ogni sera che tutto funzioni al meglio, perché la qualità dello show è sempre il primo, e il più grande, dei nostri obiettivi; risultato non proprio scontato quando sei tenuto a prendere per mano lo spettatore e condurlo per due ore e mezza in un viaggio fantastico lontano dalle sue ansie quotidiane. Anche perché dietro le maschere che vedi sulla scena ci sono esseri umani con le loro famiglie, le loro necessità, le loro gioie, i loro dolori, le loro ansie, le loro aspirazioni, che per poter trasmettere positività a chi le sta a guardare debbono averne prima di tutto tanta dentro sé stessi".