Mirì e l’eterna ricerca di un’identità. Sregolatezza italiana, rituali giapponesi

Noemi Abe, una vita tra Roma e Tokyo, alla Libreria Gogol & Company di Milano presenta “Damè. Non si fa“

Noemi Abe, una vita tra Roma e Tokyo, alla Libreria Gogol & Company di Milano presenta “Damè. Non si fa“

Noemi Abe, una vita tra Roma e Tokyo, alla Libreria Gogol & Company di Milano presenta “Damè. Non si fa“

"Damè. Non si fa". È l’imperativo morale nipponico della negazione. Ma anche il titolo del sensuale e irriverente romanzo, presentato domani alle 19 alla libreria Gogol&Company, firmato per la prima volta dall’esordiente scrittrice italo giapponese Noemi Abe. Edito Bompiani, ambientato tra Roma e Tokio, racconta la ricerca di identità personale e culturale della protagonista, Mirì, figlia di madre romana e padre giapponese. Una vita, la sua, scissa tra due culture in contrasto l’una con l’altra, così come lo sono il titolo e la copertina che ritrae una donna che fissa negli occhi il lettore, un gesto che per la morale giapponese, appunto, non si fa. L’autrice per l’occasione racconta di sé e del suo primo libro.

Chi è Noemi Abe?

"Sono italo-giapponese, di mamma romana e papà giapponese. Un dottorato in Letteratura angloamericana e una grande passione per la linguistica. Traduttrice dall’inglese di drammaturgia irlandese e britannica contemporanea".

Come Mirì, vive la condizione di scontro tra due culture differenti. Come ha trovato la sua identità?

"È un continuo negoziare tra queste due culture. Molti vanno a trovare i parenti in altri luoghi, io andavo a Tokio, dall’altra parte del mondo. Un’esperienza interessante, la propria famiglia che parla un’altra lingua, è straniera".

Dalla sua ricerca di identità personale e culturale nasce l’idea del libro?

"Sì. Il libro è il motore con cui analizzare il luogo dove nasciamo e cresciamo. Ma anche una vocazione, scrivo sin da bambina. Penso sia importante in questo momento in cui si parla di integrazioni e incontri di culture rappresentare nella narrativa italiana una figura di un’etnia diversa, che prova un senso di malinconia perché i luoghi in cui non stiamo più ci restano dentro. Sono tanti anni che non vado in Giappone…".

Cosa ha assorbito da entrambe le culture?

"Sregolatezza e ritualità insieme. Le culture trasmesse dai miei genitori e dalla mia famiglia sono però una visione parziale. Nel libro ho trasmesso la visione selvatica di una madre italiana ed un’altra fatta di regole di un padre giapponese".

Quanto di autobiografico c’è nel suo romanzo?

"L’esperienza della doppia identità, la negoziazione continua nel tentativo di difendere sè stessa nella realizzazione della coppia. Mirì, però non ha figli, io ne ho una e come mia madre ho sposato uno straniero, il mio ex-marito è irlandese".

Sono molte le cose che una ragazza perbene non deve fare in Giappone. Quali?

"Sedersi a gambe incrociate oppure fissare una persona negli occhi, non essere educata a tavola, ridere sguaiatamente".

Lei si sente più italiana o più giapponese?

"Questa è la domanda “Dame”…! Più italiana perché sono nata e cresciuta in Italia ma una parte profonda di me, che deriva dall’educazione di mio padre a cui ho dedicato il libro, è molto giapponese e ci tengo a proteggerla. Ho trasgredito in entrambe le culture".

Tre parole che descrivono il tuo libro. "Sensuale. Ironico. Intenso". Un messaggio per chi si trova sul bordo tagliente della morale, del sesso, del desiderio in cerca di un’identità tutta sua, in cui nessuno possa mai dire “damè”?

"Ascoltare i sogni e il corpo, che sono due guide importanti nella nostra vita e due temi importanti della letteratura giapponese".