ANDREA SPINELLI
Trova Mi

Non sono Memole, ma Cristina: "Una suora mi cambiò la vita. Avrei dovuto svegliarmi prima e fare almeno un figlio..."

Vita, opere e rimpianti della D’Avena, simbolo di un’epoca ma sempre al passo con i tempi: "Ho lavorato tanto, amici e famiglia me li sono goduti. Quanto mi manca Alessandra Valeri Manera".

Non sono Memole, ma Cristina: "Una suora mi cambiò la vita. Avrei dovuto svegliarmi prima e fare almeno un figlio..."

Vita, opere e rimpianti della D’Avena, simbolo di un’epoca ma sempre al passo con i tempi: "Ho lavorato tanto, amici e famiglia me li sono goduti. Quanto mi manca Alessandra Valeri Manera".

Un karaoke generazionale. Cristina D’Avena torna all’Alcatraz il 23 novembre per far sgolare il suo pubblico tra i ricordi virati nostalgia delle favole di cartone ha cui dà voce e sentimento dagli ormai lontani anni Ottanta. Al suo fianco i Gem Boy di CarlettoFX, irrinunciabili compagni di viaggio nei mondi sospesi di Doraemon e Sailor Moon, di Memole e Milo e Shiro.

Come sono cambiati nel tempo Cristina e il personaggio che le hanno incollato addosso le sue canzoni?

"Si sono evolute, cercando di stare al passo coi tempi senza perdere personalità e autenticità. Le canzoni si sono adeguate al mondo che gli gira attorno rimanendo sigle di cartoni animati, quindi, aggiornando i suoni, ma conservando strofa, ritornello e special, delle versioni originali. Quando nel 1981 incisi la sigla ‘Bambino Pinocchio’ per un cartoon giapponese, la mia massima aspirazione era quello di riuscirne a cantare almeno altre due o tre. Sono arrivata a più di settecentocinquanta. Diciamo, quindi, che di strada ne ho fatta".

Canzoni per bambini, ma non solo.

"Nonostante portassero le firme di autori illustri come Franco Fasano, Massimiliano Pani, Piero Cassano dei Matia Bazar, le mie sigle dei cartoni animati sono state considerate per decenni un genere di “serie B“, poi, quando nel 2017 è uscito il primo capitolo di ‘Duets - Tutti cantano Cristina’ col contributo di grandi nomi della canzone italiana quali Loredana Berté, Arisa, J-Ax, Annalisa, la percezione è cambiata, perché ci si è resi conto che certi motivi fanno parte della nostra vita".

Avere successo da giovanissimi finisce col rubare i sogni dell’età?

"Intanto, ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che m’ha sempre fatta sentire Cristina piuttosto che Cristina D’Avena, poi non ho mai allentato i miei legami col mondo. Diciamo che, pur passando parecchio del tempo qui a Milano a registrare i telefilm, non ho perso la mia vita. Oddio, lavorando tanto, forse qualcosa sì, ma non ne ho sentita la mancanza perché, alla fine, famiglia, amici e compagni d’università me li sono tenuti stretti".

Sì, però, incursioni a gamba tesa della sua vita pubblica su quella privata ci sono stati, se è vero che un giorno all’esame di Chimica della facoltà di Medicina le chiesero di cantare la canzone dei Puffi...

"Effettivamente, non capivo perché ad assistere ai miei esami ci fosse sempre un sacco di gente. Gente che, mentre mi concentravo per rispondere alle domande di professore e assistenti, se ne usciva urlando ‘i Puffi, i Puffi’ mandandomi nel pallone".

Tutta la sua storia se ne sta rinchiusa in un magazzino alle porte di Bologna: mai pensato di trasformare oggetti, dischi ed indumenti in una mostra?

"Sarebbe un’idea. Ho ancora il cavallone a dondolo di legno dipinto a mano con cui all’età di tre anni entrai in scena allo Zecchino d’Oro per cantare ‘Il valzer del moscerino’. Ma ho pure qualche vestito indossato nei concerti al Palatrussardi dell’ ‘89 e del ’90 o l’intera raccolta del corso di musica per bambini in fascicoli ‘Gioca e suona con Cristina’, uno dei primi progetti editoriali di cui sono stata protagonista".

Cosa le ha tolto qualche mese fa la scomparsa di Alessandra Valeri Manera?

"Mamma mia. Ero legatissima ad una donna che è stata mio mentore, mia paroliera, mia autrice, ma soprattutto mia carissima amica. Un grande riferimento, sempre capace d’indirizzarmi con una semplice telefonata sulla strada giusta, consentendomi di superare qualsiasi dubbio. Mi manca enormemente".

Decisiva per sua carriera è stata pure Suor Cellina…

"Fu lei a suggerire a mio papà di iscrivermi alle selezioni dello Zecchino d’Oro. Lui, che faceva il medico, da piccola mi portava spesso in ospedale e a me non pareva il vero di poter cantare a squarciagola per le suorine che lavoravano come sue assistenti. Furono loro a chiamare i frati dell’Antoniano e a mettermi nelle mani di Padre Berardo, della direttrice del coro Mariele Ventre, di Alessandra Valeri Manera, del maestro Giordano Bruno Martelli, tutte persone che hanno lasciato il segno sulla mia carriera".

Le dispiace non essere diventata nella vita una Regina Madre come lo è agli occhi dei fans sua mamma?

"Diciamo che ho perso un po’ di tempo nella vita, dimenticandomi di un particolare: anche se canto i Puffi o Memole, ma non sono né una Puffa, né Memole. Sono Cristina. E sul tema della maternità avrei dovuto darmi una svegliata. Al momento non ho rimpianti, in futuro però chissà…".

Quanto conta nelle fantasie dei tanti ex bambini che affollano i suoi concerti l’immagine di fatina dalla scollatura generosa che si porta dietro?

"Secondo me, è molto apprezzata. Oltre alla scollatura e al fatto che amo essere femmina, però, sulle curve non gioco più di tanto. E quando sui social i fans si fanno sotto per avere sempre nuove foto ‘estive’, gli rispondo: ma siete matti?".

Milano rimane la sua seconda casa.

"Ho iniziato a frequentare la città al tempo degli impegni televisivi facendo la spola con Bologna due-tre volte la settimana. Ora ci passo anche più tempo di prima perché ogni mercoledì mattina vado in onda in diretta su R 101. Affettivamente sono legata a Milano Due perché il residence in cui alloggiavo al tempo dei telefilm stava lì e conservo ricordi meravigliosi di quegli anni. Da camminatrice, però, la zona del Duomo è un altro posto del cuore".

Non prende aerei e neppure ascensori.

"Sono molto attiva e sto sempre in movimento. Abitando al quarto piano faccio le scale su e giù, quando possibile mi muovo a piedi e vado pure in palestra".

Con i Gem Boy ormai siete una ditta.

"Il nostro è un sodalizio che va avanti dal 2007 e fra noi s’è sviluppato un feeling, un affiatamento, pazzesco. Il popolo dell’Alcatraz può confermarlo. In scena ci emozioniamo ancora tanto, perché nessuno sa cosa faranno gli altri, quindi la battuta, lo scherzo, l’invenzione estemporanea, sono sempre dietro l’angolo".

Una canzone non sua che le piacerebbe cantare in concerto?

"Probabilmente ‘Che sia benedetta’ di Fiorella Mannoia. Mi piace tantissimo".

Da fedelissima di Sant’Antonio, non è che gli ha chiesto d’intercedere per lei con l’illustre collega ligure?

"Sicuramente Sant’Antonio da lassù mi aiuta, ma non credo che quest’anno dovrà mettere paroline buone per me con San Remo. Però in Warner, la mia casa discografica, ci sono progetti importanti che mi riguardano e quindi per ora penso ad altro. Il prossimo anno, però, chissà?".