ANDREA SPINELLI
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Stewart Copeland alla TAM: “Le mie liti rock con Sting. E l’orgoglio di portare l’opera nella terra di Puccini...”

La leggenda porta il suo “Police Deranged for Orchestra“ agli Arcimboldi. Dai retroscena sui rapporti interni della band alla rottura. E l’amicizia che resta.

Stewart Copeland alla TAM: "Le mie liti rock con Sting. E l’orgoglio di portare l’opera nella terra di Puccini..."

La leggenda porta il suo “Police Deranged for Orchestra“ agli Arcimboldi. Dai retroscena sui rapporti interni della band alla rottura. E l’amicizia che resta.

"Proporre una mia opera in Italia è stato come andarmene a suonare il blues a New Orleans o il jazz a Chicago", racconta Stewart Copeland a proposito di “The witches seed”, storia di streghe della Val d’Ossola replicata a fine maggio agli Arcimboldi con la partecipazione di Irene Grandi. "Mettere in scena un lavoro del genere nella terra di Puccini m’ha fatto sentire estremamente umile e orgoglioso". Ma, a distanza di pochi mesi da quell’evento, il batterista dei Police torna alla Bicocca per salire lui stesso in scena il 18 ottobre con quel “Police Deranged for Orchestra“ che lo vede rileggere in chiave orchestrale le hit che hanno fatto l’epopea del suo sodalizio con Sting ed Andy Summers. Una scelta che, superato il timore "di ritrovarmi inseguito dai fans dei Police coi forconi" rivendica a pieno titolo. In scena, oltre ad una formazione di 27 elementi, due colonne degli Elio e Le Storie Tese quali Vittorio Cosma, tastiere, e Faso, basso, ma anche il chitarrista Gianni Rojatti.

La sua collaborazione con i musicisti italiani continua.

"Per me Vittorio Cosma è “Mister Italia“. Ci conosciamo da 30-40 anni e ogni volta che vengo faccio qualcosa con lui. Assieme abbiamo suonato alla Notte della Taranta, dato vita al progetto Gizmo, sperimentato tanti tipi di musica diversa inclusa, appunto, quella dei Police riarrangiata per orchestra. Faso lo conosco perché Vittorio mi ha portato allo spettacolo degli Elio e le Storie Tese e ne ho apprezzato subito le capacità, mentre Gianni è il chitarrista a cui mi rivolgo quando suono in Europa, ha tutti i suoni a posto e in uno spettacolo del genere non poteva mancare".

Perché nelle interviste dice che le sessions degli album più famosi dei Police furono molto dark?

"Perché volendo tutti e tre il meglio da ciò che suonavamo il confronto si faceva spesso serrato. Le dispute erano tutte su quale musica avremmo dovuto suonare e in che modo; nessun ego da soddisfare, solo la ricerca onesta (e animata) del senso di quel che stavamo facendo. Oggi riconosciamo che è stato proprio quel confronto a dare potere alle nostre canzoni".

È vero che tra lei e Sting la lotta era continua?

"No, anche se litigavamo molto spesso. Fortunatamente, avendo entrambi una riserva di rabbia molto limitata, i musi lunghi non reggevano più di 20 minuti. Io cercavo di mantenermi su di giri provando a ricordare il motivo che m’aveva mandato il sangue alla testa, ma alla fine non ce la facevo perché eravamo fatti davvero l’uno per l’altro. Ancora oggi siamo molto amici, anzi praticamente fratelli… finché non si tocca l’argomento musica".

Un esempio pratico?

"Beh, ricordo che Sting ed Andy ai tempi di ‘Synchronicity’ schernivano le mie composizioni. Un giorno, però, alcune delle idee che m’avevano rifiutato finirono nella colonna sonora del film di Francis Ford Coppola ‘Rumble Fish’ (‘Rusty il selvaggio’, ndr) centrando sia la nomination al Grammy che quella al Golden Globe. Evidentemente così male non erano. Furono quei due episodi a farmi capire che i Police dovevano suonare le canzoni migliori per i Police, ovvero quelle scritte da Sting, perché in fin dei conti era lui a doverle cantare, ma io avevo dentro mondi da esplorare. Estremizzando il ragionamento, si potrebbe quasi dire che è stato Francis Ford Coppola a sciogliere i Police".

Per questo che una volta ruppe una costola a Sting?

"Ma no, si trattò di un incidente. Stavamo per suonare allo Shea Stadium di New York, luogo iconico da cui partì nel ’65 partì la British Invasion dei Beatles. Eravamo eccitatissimi e, dopo il sound check, mentre nel retropalco facevamo i clown per i paparazzi, Sting afferro la mia copia New York Times e se ne scappò. Lo rincorsi e, una volta raggiunto, iniziammo a lottare ridendo come bertucce, quando, mentre gli tenevo premuto il ginocchio sulla cassa toracica cercando di riprendermi il mio fottuto giornale, accadde qualcosa. L’adrenalina era tale, però, che iniziammo a prepararci per lo show senza prestare troppa attenzione all’accaduto e, una volta in scena, appiccammo il fuoco ad un concerto devastante, forse il migliore della nostra carriera. La mattina dopo Sting aveva ancora male al torace e andò a farsi una radiografia, scoprendo la costola incrinata. Epilogo rock’n’roll per una notte di felicità e di gioia sfrenata".

Cos’ha ora in agenda?

"Ho appena ricevuto il via libera ad un grande progetto che mi impegnerà per almeno due anni di cui, però, al momento, non posso parlare. Anticipo solo che si tratta di un’opera mastodontica ispirata ad uno dei libri in inglese più famosi di sempre. Non vedo l’ora di iniziare a lavorarci sopra. Intanto ho finito di registrare un nuovo album con orchestra negli studi londinesi di Abbey Road. Sul versante live, dopo queste ultime due repliche di Police Deranged for Orchestra a Ferrara e Milano, ho in programma una serie d’incontri in Inghilterra seduto su una comoda poltrona a raccontare le mie storie".