
Umberto Tozzi prolunga il suo tour d'addio con 44 concerti e annuncia un nuovo album entro l'anno.
Diceva Lord Byron che, quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi. E invece “L’Ultima Notte Rosa - The Final Tour” di Umberto Tozzi va avanti da un anno, alimentando la sensazione che l’esigenza di compiere il fatidico passo di lato rispetto all’epopea di “Tu”, “Ti amo” e “Gloria” non sia poi così impellente. Basta buttare un occhio alla fitta agenda di concerti che attendono il cantautore torinese trapiantato a Montecarlo nelle prossime settimane per rendersene conto, trovandolo in scena pure al Teatro Sociale di Como il 4 aprile, al Brixia Forum di Brescia il 5, al Galleria di Legnano il 7, al Ponchielli di Cremona il 9, al PalaFacchetti di Treviglio il 12, agli Arcimboldi di Milano il 14.
Umberto, in calendario ci sono ancora 44 concerti. Il 5 ottobre all’Arena di Verona questa lunga “notte rosa” finisce per davvero oppure no?
"Non lo so. Mi piacerebbe, però, chiudere su un palcoscenico che per me rappresenti qualcosa di intimo e quello dell’Arena è stato forse il più importante; perché tutto è partito da lì, dal successo di ‘Ti amo’ in quel fortunatissimo Festivalbar 1977. Penso, però, che il 5 ottobre non avremo ancora ultimato questo giro di commiato in giro per il mondo e quindi ci sarà ancora qualche ‘notte rosa’ da affrontare".
Sicuro sicuro di volerla chiudere qui?
"Effettivamente, davanti alla passione del pubblico, alla fine di ogni concerto mi chiedo quanti momenti di quel tipo mi restano ancora da vivere. Però sono molto sereno, molto tranquillo, e in questo ultimo giro di concerti mi godo finalmente tutto quello che non ero riuscito ad apprezzare nei tour precedenti".
Tre momenti di questo lungo cammino più speciali degli altri?
"L’apertura alle Terme di Caracalla, dove non avevo mai suonato, ma anche il concerto in Piazza San Marco, a Venezia, coi ricordi dello show di Paul McCartney & Wings visto lì da ragazzo che si portava dietro. Anche se arriverà solo a maggio, aggiungerei a questa lista la tappa all’Olympia di Parigi perché, trattandosi di un luogo topico della mia carriera, sono certo che saprà regalarmi emozioni uniche. Non a caso questo tour d’addio ho voluto presentarlo proprio lì".
In quella circostanza parlò pure di un nuovo album.
"Arriverà entro l’anno. Intanto spero di pubblicare un nuovo singolo nelle prossime settimane. Non vedo l’ora che esca. Dall’album non mi aspetto la luna, ma ci tengo a mostrare alla gente quel che ho scritto negli ultimi tempi e a fare un regalo a quanti che m’hanno seguito per così tanti anni".
Perché nello spettacolo, fra le sue tante hit, mette pure “Music” di John Miles?
"Perché un pezzo che ho sempre adorato. E quando coi musicisti s’è pensato a qualcosa di strumentale, che allentasse un poi i ritmi per dare respiro allo spettacolo, ho pensato a Miles. La ciliegina sulla torta, ‘Music’ ha una musicalità che si sposa bene con le mie canzoni".
Nel mondo della musica continua la polemica sull’utilizzo dell’autotune e delle sequenze per inseguire la perfezione formale del disco togliendo al live la forza del qui e ora. Lei come la vede?
"Io sul palco sono molto felice di sbagliare un accordo ogni tanto, così la gente capisce che non suono in playback. Capisco, però, che le orecchie dei ragazzi più giovani siano diverse dalle nostre. Pure il pubblico senior, però, vuole dal concerto una resa, un impatto, di un certo livello e in questo la tecnologia può aiutare. Per quanto riguarda l’autotune, penso che apporti alla canzone colorazioni con cui i più giovani oggi hanno confidenza. Il fatto poi che molti di loro, senza ‘intonatore’, all’epoca mia non avrebbero potuto neppure fare questo mestiere è un altro discorso".
Milano crocevia della sua carriera, visto che tutto è cominciato nell’ufficio del discografico Franco Daldello.
"Sì, alla Numero 1, l’etichetta di Battisti e Mogol di cui Franco gestiva la parte editoriale. Musicalmente parlando, Milano è sempre stata molto più avanti del resto d’Italia, con un fermento e idee difficili da riscontrare altrove. Basta pensare a personaggi come Alberto Camerini o Eugenio Finardi, ma anche ad altri arrivati da fuori quali Ivan Graziani, Edoardo Bennato o Gianna Nannini".
Lì incontrò anche Bigazzi.
"Lui era veramente un uomo di grandi capacità nell’individuare talenti e crescerli. Un grande maestro. Il successo lo devo a lui, al produttore Greg Mathieson e a tutti quelli che hanno creduto in me lavorando duramente per farmi arrivare lì dove poi sono arrivato".
Tre personaggi della musica e no a cui l’ha inorgoglita di più stringere la mano.
"Un pomeriggio del ’71 mi preparavo ad andare ad ascoltare al PalaRuffini di Torino i mitici Chicago quando, con un mio amico bassista, incontrai davanti ad una vetrina di via Roma il bassista-cantante della band americana Peter Cetera. Emozione vera. Fra gli altri ricordi spicca quello della convention Cbs a Los Angeles in cui conobbi il compositore Bill Conti, Barbra Streisand, Carlos Santana. Ho ancora una foto scattata dietro le quinte con i grandi Stanley Clarke e Jeff Beck".
Le manca Paul McCartney.
"Già, vista la mia passione per i Beatles, mi sarebbe piaciuto incontrare pure lui e Lennon. In compenso a Monaco ho conosciuto il figlio John, Julian".
Ha fatto tour a due con Marco Masini e con Raf. Con chi altro sarebbe (o sarebbe stato) bello mischiare le carte sui palchi?
"Ci sono andato molto vicino con Pino Daniele, a cui mi legava un rapporto fantastico, perché quando risiedevo alle porte di Roma, a Castel de’ Ceveri, abitavamo vicinissimi e ci vedevamo spesso. Parlammo di un tour a due, poi lui, se ne andò negli stadi con Jovanotti ed Eros Ramazzotti e non se ne fece più niente. Peccato, perché l’ho sempre stimato enormemente e sarebbe stato un sogno condividerci la mia musica".
Strano personaggio Raf, che rifiutò di cantare in italiano “Si può dare di più” con lei e Morandi a Sanremo (tant’è che chiamaste Ruggeri), ma tre mesi dopo il Festival accettò di farlo assieme all’Eurovision con “Gente di mare”.
"Fu una faticaccia convincerlo, perché avendo un contratto con l’etichetta Carrère per canzoni in inglese, non aveva dimestichezza con l’italiano. Visti i risultati raggiunti dalle sue hit nella nostra lingua, mi sento orgoglioso di esserci riuscito".
Oltre al nuovo album, cosa ha da parte? "Un progetto fantastico che non mi sarei aspettato di realizzare a fine carriera. L’annuncerò appena firmato il contratto".