di Mariachiara Rossi
Antonio Dikele Distefano in questi giorni è fuori, utilizzando un’espressione cara al linguaggio social degli artisti, con il primo film a sua firma, “Autumn Beat”, trasposizione cinematografica del romanzo “Qua è rimasto autunno”, il quale si appresta a diventare l’ennesimo tassello di una carriera decollata quando aveva solo 23 anni e che ha come filo conduttore una voglia di rivalsa che ancora oggi è il motore propulsore di ogni sua forma di espressione artistica.
Non ci gira intorno, quando gli chiedono "Cosa ti aspetti dal pubblico?". Risponde in modo schietto: "Io l’ho fatto per me. Del resto non mi interessa". E in queste parole si legge tutta la storia di Antonio, diventata nota al grande pubblico nel 2015 con “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?”, un vero e proprio caso editoriale, prima auto pubblicato su Amazon con circa 20mila free download e poi notato da Mondadori che l’ha voluto nel proprio gotha di pubblicazioni. Lui nasce a Busto Arsizio, nel Varesotto, e in Italia deve purtroppo scontrarsi con le difficoltà dei giovani neri di seconda generazione, le privazioni e un’instabilità economica costante, tanto che solo di recente ha ammesso: "Ho cambiato più di quindici case in 30 anni". Suo padre era un ex militare angolano e un rifugiato politico, ha lavorato nei campi a Cerignola e a Villa Literno, a raccogliere frutta per tre euro l’ora. "Alla domanda “Chi è il tuo idolo?” – racconta adesso Antonio Dikele Distefano – rispondevo tutte le volte con un sorriso sincero: “Mio padre è il mio idolo, perché tutte le mattine si sveglia per fare un lavoro che non gli piace, solo per me”".
La madre faceva la badante, per poi decidere di aprire un negozio etnico di alimentari dal nome Stella d’Africa, punto di riferimento per gli immigrati del suo quartiere. Anche qui però deve scontrarsi con la diffidenza e l’emarginazione sociale: il nuovo affittuario li costringe ad andarsene, rimangono senza casa e finiscono a dormire per strada. Proprio quando aveva smesso di sperare in un futuro migliore, ricorda con piacere di aver ricevuto un vero e proprio dono dalla vita: "Una signora nigeriana ci ha visti per strada e ci ha letteralmente raccolto, offrendoci una stanza nel suo appartamento, piano piano le cose si sono sistemate".
Di fatto la sua storia ricomincia a Milano, a 21 anni compiuti, quando decide di trasferirsi nel capoluogo lombardo: qui conosce la sua seconda famiglia, quei ragazzi che con lui non condividono un legame di sangue ma qualcosa di ancora più profondo, esperienze passate, sogni e voglia di riscatto sociale. In poco tempo si avvicina al mondo hip-hop, fonda il duo artistico Primavera Araba e decide di mettere nero su bianco la sua storia, partendo dalla relazione d’amore con una ragazza italiana osteggiata dalla madre di lei proprio a causa del colore della sua pelle, oltre ai problemi famigliari ed economici.
Oggi, dopo altri cinque romanzi pubblicati, non se la sente ancora di definirsi scrittore. "Essere uno scrittore per me è molto di più di quello che sono io. Io non so narrare cose che non ho vissuto. Forse è un limite. Mi considero più un oratore", si schermisce con umiltà. Sul suo diario Instragram si vedono foto di un Antonio sempre sorridente, al suo fianco ci sono gli affetti di una vita ricca, amici, sorelle e soprattutto il suo più grande idolo, quel papà “supereroe“ con cui si gonfiava il petto da piccolo, che non aveva mai smesso di credere nel loro futuro, e che ora lo abbraccia a sua volta con orgoglio sapendo di aver vinto la battaglia più grande.