di Diego Vincenti
Il teatro lo scopre da ragazzo. Grazie a una di quelle meravigliose professoresse di Lettere che ogni tanto si incontrano ancora in giro. Poi l’università, il lavoro con Lavia, i premi, la lunga amicizia con Piera Degli Esposti. "Ero il suo discepolo, ci ho messo tre anni solo a darle del tu". Da allora Andrea Chiodi ha firmato una lista lunga così di spettacoli, fra l’Italia e la Svizzera, dove ha da poco debuttato con il bergmaniano “Dopo la prova”.
Eppure tutto è nato qui. A Varese. Come anche il suo festival: Tra Sacro e Sacro Monte, ormai a un passo dalla nuova edizione.
Chiodi, come è andata a Bellinzona con Bergman?
"La sua è una mente affascinante e complessa. Lo conoscevo per i film, ora non lo lascio più. Lo spettacolo è quasi un omaggio. Ho costruito un’immagine alla Fanny e Alexander, riuscendo anche ad usare in video alcuni primissimi piani. C’è qualcosa del suo cinema dentro il mio teatro. Ovviamente con misura, stiamo parlando di una piccola produzione".
Il suo legame con la Svizzera è molto forte.
"Prima ci sono stati i sei anni al LAC di Lugano con Carmelo Rifici. Ora Bellinzona, realtà agile, di qualità, molto vivace a livello produttivo, con grandi collaborazioni internazionali. Mi trovo insomma benissimo a lavorare con la Svizzera. Per altro è un legame che storicamente appartiene a tutto il Varesotto".
Dove però l’impressione è che invece manchi un po’ di vivacità teatrale.
"È così. Varese poi è una tragedia. Non c’è un teatro pubblico, solo un palco commerciale che si concentra su musical, intrattenimento, comici. Che andrebbe pure bene, se però ci fosse il resto. E pensare che negli Anni ’90, quando ero ragazzo, la stagione comunale aveva nomi importantissimi e c’erano quattro turni di abbonati. Ricordo di aver visto qui la “Medea” di Ronconi e tanti spettacoli di Massimo Castri".
Oggi invece?
"Da tempo manca una progettualità culturale, nonostante la domanda sia molto forte come ho potuto constatare nell’unico anno in cui ho curato una stagione di prosa invernale, portando gente come Alessandro Serra o Valerio Binasco. Forse però qualcosa si sta muovendo, c’è stato un bando per la ristrutturazione di un vecchio cinema-teatro. Speriamo si comprenda il bisogno di sostenere l’impresa artistica, soprattutto in partenza. Stiamo crescendo una generazione di ragazzi senza lo stimolo di un teatro di prosa".
Lei ci sarebbe nel caso?
"Certamente. Ma è sempre difficile essere profeta in patria".
In provincia?
"La situazione è simile, il pubblico spesso si sposta a Milano o in Svizzera per andare a teatro. A Gallarate forse si è visto qualcosa in più".
Come nasce Tra Sacro e Sacro Monte?
"Tredici anni fa la Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese, mi chiamò per fare uno spettacolo. Io accettai ma chiesi di utilizzare il budget per un maggior numero di appuntamenti a luglio, invitando più artisti e più mondi. A quel punto dovevo però riuscire a portare qualcuno e mi venne in soccorso l’amica Lucilla Morlacchi, che stava leggendo il Vangelo secondo Matteo. Aveva delle remore perché temeva una cosa cattolica. Le dissi che doveva solo essere un progetto bello all’interno di una casa da rispettare. Per dire: non possiamo fare De Sade alla 14a cappella! Fu una serata indimenticabile. E da allora il festival è esploso".
Come funziona?
"Agli artisti propongo testi che difficilmente farebbe in altre situazioni, in un contesto informale ma di alta caratura. È da poco arrivato anche il riconoscimento ministeriale. Non siamo Ravenna o Spoleto. Ma sarebbe sufficiente un po’ di forza in più dell’amministrazione per diventare una realtà importante. Purtroppo a volte ho l’impressione che Varese abbia come paura di fare cose grandi e cose belle".
Qualche anticipazione sulla nuova edizione?
"Apriremo il 7 luglio con Recalcati. Sarà una lunga riflessione sul pensiero. Programmeremo poi una narrazione in cuffia sulla storia del borgo. Ed è già confermata Federica Rosellini con un lavoro su Hildegard von Bingen. Sono molto felice che ci sia".