di Simona Ballatore
"C’è stato molto “freddo“. Per la lontananza dalle sale, il non potersi sedere al cinema. Penso che per chi ha preso parte all’opera sia importante e gioioso incontrare il pubblico, invitandolo a tornare. La bellezza della sala non ha eguali". Così Fabrizio Ferracane ha subito risposto all’invito del Lecco Film Fest. Prenderà per mano “Leonora Addio“ domenica 10 luglio ed è tra i volti di un altro film in programma: “Il paradiso del pavone“. Ha appena chiuso il set di Emma Dante, è in onda su Canale 5 con “L’Ora“, con Massimiliano D’Epiro ha girato un film sulla scuola e a novembre tornerà a teatro con lo spettacolo “La consegna“.
Quanto è mancato l’incontro col pubblico?
"È stato come vivere su un ghiacciaio. Non è la stessa cosa vedere un film col computer sulle gambe. Quando si va al cinema si entra nella storia, si respira tutta la sua potenza, mettendo per un attimo la vita in stand-by e viaggiando con l’immaginazione, l’emozione e la libertà. È bello prendersi del tempo per rispondere alle domande. Raccontare quello che amo di questo lavoro: trasfigurarmi, trasformarmi, corrompermi".
E porterà il dietro le quinte di Leonora Addio.
"Quando mi ha chiamato la mia agente per dirmi che Paolo Taviani avrebbe voluto incontrarmi ho fatto i salti di gioia. Parliamo di maestri di una grandezza e sapienza cinematografica enorme. Mi ha spiegato subito la storia delle ceneri di Pirandello. Tutto vero. Mi ha fatto tornare a quel periodo storico e, parlandomi di un cappotto e di un cappello, ho ripensato a mio nonno. Una gioia immensa poi lavorare in un film in bianco e nero, ripensare alla cinematografia italiana del Neorealismo che ci invidiano nel mondo".
Com’è lavorare con Taviani?
"Mi preso per mano. In tutte le scene chiedevo sempre una parola in più, un ciak in più. Volevo dare io di più. Ammiravo la sua lucidità impeccabile, la sua presenza instancabile, a 90 anni".
Da Tornatore a Bellocchio: i registi che le hanno lasciato più il segno?
"Ho incontrato Tornatore per i David di Donatello, non lo vedevo da Malèna. Mi ha ricordato la sua grande ammirazione per la scuola di teatro di Palermo, mi ha detto che sta seguendo la mia carriera. Di Tornatore ricordo la sua maniacalità. da studiare, da stimolo. Come di Munzi per “Anime nere“, la mia prima occasione per lavorare su un personaggio dalla “a“ alla “z“. Con lui ho potuto dire: finalmente tocca a me. Lavorare con Bellocchio e Taviani e con la loro serenità è anche facile da un certo punto di vista, ti senti guidato. Ognuno di loro ha le sue metodologie, ma la stessa instancabilità. Bellocchio ha una grande stima per gli attori, con “Il traditore“ mi lasciava fare. Ti lasciano addosso l’esperienza, l’amore per questo lavoro, per la perfezione".
In molti ruoli da lei interpretati emerge l’impegno sociale. Quanto è importante continuare a parlare di mafie al cinema?
"Più se ne parla, più le generazioni vanno avanti, crescono. Mio nipote ha cinque anni, deve sapere che esistono anche atteggiamenti mafiosi, che vanno contrastati, studiati, raccontati. E quante storie ci sono ancora da raccontare... Certo, dipende da come lo si fa".
I film in cui “cambia“ di più?
"“La terra dei figli“, con Claudio Cupellini, tratto dal fumetto di Gipi. E anche nell’ultimo film di Emma Dante. Io adoro variare, diventare altro da me. Non posso essere Fabrizio al cinema. Ho un altro atteggiamento, un’altra camminata. Mi piace raccontare anche storie belle e leggere come “Amici in paradiso“, con lo sguardo delle persone con un handicap. O affrontare il tema della follia e degli ultimi a teatro con la compagnia Sukakaifa, diretta da Rino Marino, che è stato fondamentale per me".
E com’è Fabrizio nella vita?
"Una persona chiusa, timida, solitaria, che ama in maniera spropositata la sua famiglia e la sua terra, la Sicilia, da morire. Adora andare a prendere Daniele all’asilo e farci una passeggiata.
Fabrizio non deve stare necessariamente sotto i riflettori, c’è altro nella vita. I panettieri, i vigili del fuoco sono i nostri eroi anche se col nostro mestiere regaliamo sogni, che hanno una loro importanza".