di Simona Ballatore
Torna “a casa“ dopo anni di ricerca oltre frontiera, per investigare su geni ancora sconosciuti che potrebbero essere alla base dei difetti dello sviluppo del cervello. Veronica Krenn, ricercatrice e mamma, ha 37 anni, è nata ad Oggiono ma è cresciuta a Castello Brianza. Alle spalle un diploma in lingue all’istituto Bertacchi. "Qui mi sono innamorata della biologia anche se le lingue non le ho mai abbandonate e mi sono servite lungo tutta la mia carriera".
Come è scoccata la scintilla per la scienza?
"Ricordo ancora le lezioni di Biologia del prof Valsecchi. Ho capito che mi interessava capire il mondo al microscopio, come fosse fatto il Dna, il nucleo di una cellula. Così all’università mi sono iscritta a Biotecnologie in Bicocca e ho continuato la specialistica. Ho scelto una tesi sperimentale che mi avrebbe permesso di trascorrere un anno in laboratorio: avevo deciso che era giunto il momento di scoprire un contesto diverso da quello universitario".
Destinazione?
"Al Campus Ieo, a Milano. Il professore Andrea Musacchio mi ha accolta a braccia aperte ed è stata un’esperienza molto formativa, ho scoperto la passione per la ricerca e in particolare per il funzionamento della cellula e la sfida che deve affrontare per passare il materiale genetico alle cellule figlie. Dopo la laurea, nel 2009, ho deciso di continuare lungo questa strada intraprendendo la scuola di dottorato. Poi al secondo anno di quattro è arrivata la decisione, inizialmente spiazzante, del mio supervisore Musacchio di trasferire il laboratorio in Germania".
E cos’ha fatto?
"Non avrei potuto rinunciare a questa occasione, prima di tutto perché non capita quasi mai di poter frequentare il dottorato metà in Italia e metà all’estero. E poi il tedesco mi sarebbe tornato utile. È stata un’esperienza davvero arricchente. Quando si è chiuso il percorso di dottorato, volevo restare in Europa per non allontanarmi troppo dalla famiglia e ho cominciato a cercare un progetto di mio interesse. Mi aveva colpito sulla rivista Nature lo sviluppo di un nuovo modello per studiare le cellule del cervello in alternativa ai topi, da parte del team del prof. Jürgen Knoblich di Vienna. Un modello sperimentale che utilizzava le cellule staminali umane in laboratorio chiamato organoide. Ho fatto domanda e il prof. Knoblich mi ha invitata a lavorare nel suo laboratorio a Vienna, la città più vivibile d’Europa, un’occasione fantastica. Sono rimasta lì fino al 2021, fino alla maternità. Avevo un contratto in scadenza, non sapevo quali sarebbero state le prospettive. Ma poco dopo la nascita di mio figlio Andrea ho ricevuto un’offerta di finanziamento da parte di Human Technopole per aprire il mio laboratorio insieme a Bicocca e lavorare ad un ambizioso progetto di studio del neurosviluppo. L’occasione giusta per tornare. Quando sei lontana da parecchi anni ti sembra impossibile".
Complicato?
"La burocrazia italiana rende tutto più difficile. E toglie tantissimo tempo alla ricerca e alla formazione degli studenti, che è quello che dovremmo fare noi. Però sono fortunata, non solo rientro e mi hanno dato spazio, ma lo faccio con un finanziamento importante che permetterà anche di assumere due ricercatori e coinvolgere gli studenti. Con un laboratorio tutto da costruire e un progetto creativo. Abbiamo cominciato a gennaio".
La sfida?
"Io sono una biologa cellulare, studio le cellule e in particolare quelle del sistema nervoso. Alcune patologie sono associate all’aspetto congenito, c’è qualcosa che in gravidanza va storto e influisce nello sviluppo fetale. L’obiettivo è capire i meccanismi alla base per esempio dello spettro autistico e anche le interazioni tra il sistema immunitario e il cervello".
Quanto durerà lo studio? E qual è il budget?
"Cinque anni da gennaio 2022 a dicembre 2026. Un milione di euro dedicato alla ricerca".
Scienziata e mamma. Quanto è ancora difficile?
"Fino al dottorato la situazione è anche bilanciata, ci sono tantissime ricercatrici. Poi arrivi intorno ai 30 anni e purtroppo tante sono ancora costrette a scegliere tra famiglia e carriera, quando non dovrebbe essere un aut aut. Anch’io ho scelto di posticipare per un po’ il mio progetto famigliare e per fortuna mio marito ha sostenuto questa decisione. Ma non avrei mai voluto rinunciare. Credo che ogni donna debba potersi sentire libera, che bisogna rispettare le sue scelte. Ma debba avere le condizioni per poter scegliere. Io sono stata fortunata, proprio nel momento dell’incertezza ho vinto questo importante finanziamento. Con questo non dico sia semplice. Arrivo a fine giornata esausta, ma felice".