DANILO VIGANÒ
Vivere Lodi

Io, cresciuto a pane e ciclismo. Il mio cuore batte per Pogacar

Il lodigiano Bertolotti, “voce“ del Giro d’Italia e delle grandi classiche "I corridori sono tutti brave persone. E quanto mi manca Scarponi...".

Io, cresciuto a pane e ciclismo. Il mio cuore batte per Pogacar

Stefano Bertolotti da Casalpusterlengo nel suo “box“ al Giro d’Italia

L’emozione dietro a un microfono. È quando Stefano Bertolotti apre la sua voce per raccontare il Giro d’Italia e le corse più importanti del calendario internazionale. Perfino il Tour de France si è servito della sua voce elegante, educata: è successo a luglio nelle prime quattro giornate in Italia, prima ancora nella tappa di Pinerolo nel 2011. L’emozione e la gioia di continuare a raccontare Giri di Lombardia, Milano-Sanremo, Tirreno Adriatico, Campionati europei e mondiali e corse minori, sono emozioni che ancora oggi

Bertolotti vive come fosse la prima volta. Così è anche per la pista, dove continua a comunicare emozioni a chi ascolta. Il velodromo di Fiorenzuola d’Arda è “casa“ sua, lì ha affinato le tecniche ed è maturato professionalmente. Classe ’75, di Casalpusterlengo, diplomato al liceo classico, Bertolotti è diventato un personaggio noto a tutti. Specialmente ai corridori dei quali ha molta stima e rispetto.

Come è nata la sua passione per il ciclismo?

"Si può dire da quando ero “nella cesta“, appena nato. A casa si respirava pane e ciclismo. Papà Virginio è sempre stato un cicloturista appassionato e guidava la società ciclistica Somaglia, mia madre Maria Rosa ha trovato ispirazione da suo marito tanto da ricoprire negli anni il ruolo della presidente del Comitato Provinciale di Lodi".

L’esordio al microfono?

"Nel ’93, avevo 18 anni, per una gara di Giovanissimi a San Martino in Strada. Fu colpa di mia madre che seguiva tutte le corse del territorio. Gli organizzatori le chiesere se conosceva uno speaker, lei fece il mio nome. Ricordo che mi arrabbiai, non volevo saperne di tenere in mano un microfono e parlare alle persone, mi vergognavo. Alla fine accettai e mi piacque. Da allora una dietro l’altra".

Quante corse ha esplorato?

"Tantissime, tutte con una storia a sé..."

La più bella da raccontare? "La Milano Sanremo, corsa dal fascino tutto particolare, spettacolo unico che offre grandi emozioni. La sera prima della gara fatico a dormire, fin da ragazzino. Una corsa con la C maiuscola. Alla Sanremo ci metto qualcosa in più".

Una situazione in cui si è trovato in difficoltà?

"Avverto certa tensione quando le gare finiscono in volata. La paura di sbagliare il nome del vincitore. Per fortuna, non è mai capitato di scambiare un corridore per un altro. Ho un occhio infallibile, facilita il compito".

Un episodio che non vorrebbe mai più commentare?

"La morte del belga Weylandts al Giro d’Italia del 2011. Ero al mio primo Giro e mai mi sarei aspettato di vivere una situazione così pesante e complicata. Ricordo quel drammatico incidente nella discesa verso Rapallo in cui perse la vita. Fu difficile di mettere insieme le parole che dovevo al pubblico. Ci furono momenti di vuoto".

Un corridore in particolare a cui è affezionato?

"Il mio cuore pulsa per Pogacar, simpatico e divertente. Ma i corridori sono tutte brave persone, gentili e disponibili. Nonostante sia un uomo di poche parole, Van Aert è un bel personaggio, e Remco Evenepoel è brillante e sorridente in ogni occasione". Aneddoti che ricorda?

"Ogni volta che mi chiedono di raccontare qualcosa, penso al povero Michele Scarponi che voleva il microfono al foglio di partenza. La sua simpatia è sempre la stessa immagine che mi viene in mente. Ma anche quando l’ex campione Guido Bontempi mi disse: “Stefano posso fare una foto con te?“ Mi ha lasciato senza parole, era il mio mito".

Al suo fianco c’è sempre l’amico e collega Paolo Mei.

"Paolo è come un fratello, mi trasmette una grande gioia. Ormai ci intendiamo con uno sguardo e ci sentiamo 3-4 volte al giorno. Siamo una bella coppia".