
La fede di Rino Fisichella. La chiamata sotto al tiglio l’aiuto di don Giuseppe e la missione per il Papa
In Terra Santa, l’altura del Tabor, luogo della Trasfigurazione, si distingue nella piatta valle di Esdrelon. Nel Basso Lodigiano, la chiesa del Tabor, prospiciente una silenziosa via di Codogno, permette il raccoglimento che solleva da mediocri pensieri. Ogni anno vi approda dal Vaticano un alto prelato. “Eccellenza”, dovremmo chiamarlo. Vero sapiente, possiede il dono della semplicità.
Monsignor Rino Fisichella, cosa la porta qui?
"Codogno è la mia terra. Rimane parte fondamentale della mia identità. Qui ci sono la mia famiglia, le tombe dei mei genitori, gli amici d’infanzia. Qui c’è il ricordo di quando venivo a giocare all’oratorio".
Qui, spieghiamo, annesso alla chiesa del Tabor c’è l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore, che la invitano puntualmente a presiedere la rispettiva solennità.
"E ricordiamo che l’Istituto fu fondato da Francesca Cabrini, riconosciuta santa. Una vera imprenditrice. Dopo una vita spesa al servizio dei migranti e dei poveri, morì a Chicago nel 1917 lasciando 67 fondazioni e 1.300
missioni in tutto il mondo".
Col favore della Provvidenza?
"Esiste la Provvidenza, certo, e lei ci credeva. Ma sapeva anche farsi amare. E gli americani, oltre al cuore, le aprirono il portafoglio, quando andò ad assistere gli italiani che in quegli anni emigravano in cerca di lavoro e di un tenore di vita migliore nel Nuovo Mondo. Superando, per prima, non poche, gravi, difficoltà".
Posso chiederle, monsignore, in quanto pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, se viene qui anche a riconoscere l’attualità del metodo di Francesca?
"Molto femminile, diceva la Cabrini, il metodo di evangelizzazione fondato sull’esempio pratico e sul carisma fatto proprio dalle religiose, più che su parole o teorie. Ma questo senso pratico, organizzativo, che tocca anche il modo di vivere la fede, modo tangibile, attraverso le opere, senza ostentazione, appartiene allo spirito di tutto il Lodigiano".
Papa Francesco le ha affidato la regìa organizzativa dell’imminente Giubileo. In cifre?
"Sono attesi 32 milioni di pellegrini, che andranno ad aggiungersi a una realtà quotidiana di 5 milioni di persone: tre di residenti e due che si spostano. Complessa la macchina organizzativa, nella sua estensione a Roma capitale. Per quanto ci riguarda, conto su una squadra di venti giovani. In calendario, 35 grandi eventi".
Nell’essenza?
"Vogliamo mantenere la prima caratteristica del Giubileo: una dimensione molto popolare. Quando Bonifacio VIII lo istituì nel 1300, fu per le pressioni del popolo di Roma che andò a manifestare davanti al Laterano, dove allora stava il pontefice, per chiedergli la grande indulgenza".
Il ruolo del popolo oggi?
"A dare il benvenuto a sportivi, confraternite, malati, detenuti (sì, il Papa desidera aprire simbolicamente una quinta porta santa in un carcere), giornalisti, migranti in contemporanea con missionari e missionarie... saranno i romani che appartengono alle stesse categorie. Nel segno
dell’accoglienza, che significa anche far ritrovare la bellezza nascosta dal traffico, Roma risponde così alla propria vocazione".
Ma la sua vocazione, Monsignore, come l’ha sentita?
"Una chiamata, sì, posso dirlo con serenità, in un luogo preciso: sotto un albero di tiglio, che ora non c’è più, nel cortile del Collegio san Francesco di Lodi, l’ultimo anno di liceo. Iniziò così la mia avventura romana. Contro il parere di tutti. Ma con l’aiuto del parroco di Codogno, Giuseppe Gennari, per il quale ho sempre avuto grande venerazione".
La vocazione impone responsabilità per tutta la vita. Responsabilità, non un colpo di bacchetta magica, è la speranza. E a questa virtù grandiosa che non delude è intitolato il Giubileo 2025. A Codogno come sarà vissuto?
"Il Giubileo è innanzitutto un cammino comune, verso una meta. E il cammino appartiene in particolare oggi al mondo giovanile. E il Lodigiano è attraversato proprio dalla via Francigena".
Sulle strade del mondo, il nome di Codogno l’hanno portato i suoi tanti libri, tradotti un po’ dovunque.
"Perciò mi hanno dato il titolo di cittadino onorario, riconoscendo i meriti di questo autore nativo di Codogno, docente per vent’anni all’Università Gregoriana e poi rettore della Lateranense. Ma non mi chieda a quale libro sono più affezionato. Oltre quarante ne ho scritti, tutti miei figli...".