
Lodi a metà anni ’60 negli occhi di un maestro di giornalismo come l’inviato del Giorno Giorgio Bocca. E quella porticina all’interno delle banche perché "qui chi ha i soldi non ci tiene a farlo sapere...". .
Eugenio Castellotti era di Lodi. Un giovane agrario assenteista. Correva i Gran Premi, morì su una automobile da corsa. Per dire che anche oggi il rapporto fra molti agrari di qui e l’industria, la loro promozione industriale, si riduce a questo: possedere un’automobile veloce e rombante. Qui non c’è il "magnifico declino" dell’America contadina, qui c’è una "lenta agonia". Il boom è passato sulla via Emilia quasi senza fermarsi. Ora ci passa la recessione e quasi non ci se ne accorge; le linee di forza seguono la circonvallazione, sfiorano le mura del Barbarossa, evitano la piazza del Duomo e del mercato. Il destino di Lodi sembra quello della "piccola città" americana negli anni venti: il silenzio, la polvere, le antiche virtù che si mutano in difetti. E diventare una città di pensionati, essere un dormitorio di Milano. Se non avviene la svolta.
Il pendolo
Milano è a trenta chilometri. Ogni giorno partono in seimila da Lodi per andarci a lavorare, in quattordicimila dal circondario. Di sera altre migliaia di persone ci vanno per divertirsi. Gli acquisti importanti vengono fatti a Milano e, comunque, prima ci si informa a Milano. Molti vi acquistano anche le piccole cose, la cravatta, il cappello, le scarpe. Proprio una "piccola città" padana, subalterna della megalopoli, risucchiata dalla megalopoli; eppure tenacemente diversa, ostile all’imitazione modernistica, odore e pensiero del passato. La stazione ferroviaria di Lodi è su una curva. Nell’atrio c’è un pendolo, con qualche minuto di ritardo. Adesso hanno allargato l’ingresso, dopo dodici anni di reclami e di proteste. Si esce dalla stazione in un viale di ippocastani, poi si attraversa la via Emilia e si è nei giardini con le siepi di mortella a coni. Quell’ingegnere capo del comune doveva inclinare al gusto funerario, dove potè piantò mortella, cipressi e salici piangenti. E si è già nella città vecchia: chiese splendide, palazzi e cortili bellissimi nel lento marcire, quei giardini vuoti sotto la pioggia, quegli anditi scuri. Nel borgo della Maddalena il settanta per cento delle case è, teoricamente, inabitabile. Ci sono tante osterie, verso l’Adda, dicono ottantasette. Qualcuna con il camino, gli avventori, di inverno, attorno al "toc de legn" che brucia. Le sedie e i tavoli sono antichi. Certi osti, se si buca un tavolo, usano ancora l’antico rimedio, l’incastro a forma di cuore. Del resto gli alberghi, su in città, non sono molto meglio. Ce ne sono sei: uno solo con il bagno nelle stanze e il citofono; due con il bagno al piano; gli altri tre "riscaldati". I negozi nelle vie del centro e sotto i portici della piazza hanno le vecchie insegne, con la grafia antica. Ogni mattina alle sette e trenta uno dei più noti proprietari di terre passa per andare alla messa: i poveri lo aspettano, ciascuno il suo pilastro, lui passa e lascia cadere. Se c’è la messa da morto di un suo parente li paga perchè vengano in chiesa. Milano è a trenta chilometri. Si va e si torna in mezza giornata, fra un gran fragore. Ma Lodi è silenziosa, ferma nei modi, nei gusti, nei riti di una civiltà contadina che non sa come morire. Sotto i portici del Broletto si vedono pance contadine, si ascoltano i dialoghi celtici, lenti, un po’ da allucinati: "Hai più visto il Bassiano?". "E’ un po’ che lo vedo no". "Quello è un mezzo orfanello, gli dovevo dare una bestia ma lo vedo no". "Amen". I discorsi sotto i portici con le immagini, gli stupori e le misure del mondo contadino: una "carretada" per il dire il più grande dei grandi; un "quarantott" per dire uno scompiglio. E tutti d’accordo su Lodi città “pulita”, niente fango o concime per le strade.
La porticina
Le banche sono tutte 14 sulla piazza del mercato. Viene un ingegnere per ammodernarne una, esamina i locali e nota, oltre gli ingressi abituali, una porticina seminascosta. "E questa a che serve?" "Sa com’è, ingegnere, molti preferivano non farsi vedere, entrare in banca era confessare la propria ricchezza e non ci tenevano". Milano è a trenta chilometri con il suo consumo concupiscente , ma qui c’è ancora aria di soldi nascosti nel bidone del latte. Una parte dei professionisti ha rimesso a nuovo lo studio, ma alcuni conservano tal quale, deliberatamente, quello che fu del padre e del nonno con le pareti affumicate e le scartoffie polverose perchè il cliente, appena entrato, si dica: "Questo non mi fa spendere un soldo più del necessario". Modestia contadina, diffidenza contadina. I piccoli negozianti crepano, ma rifiutano la cooperazione. Un mese fa si era finalmente riusciti a costituire una cooperativa fra dieci fruttivendoli: facevano gli acquisti in comune, avevano un grosso banco in comune. La cooperativa si è sciolta dopo dieci giorni. "Almeno nel mio negozio il padrone sono io". La civiltà contadina nella sua lunga agonia; gli agrari che perdono il potere politico insieme a quello economico. Ma l’archetipo rimane quello, il proprietario di terra, si direbbe che tutti questi impiegati e operai e negozianti non siano ancora arrivati a concepire " l’uomo senza terra ". L’esempio è quello del contadino economo, che bada a se, che affida tutti i bisogni della comunità a quello straniero potente e infido che è lo stato. E allora qui c’è una biblioteca comunale che ha una dotazione di un milione l’anno, duemilasettecentoquaranta lire al giorno, per l’acquisto di libri e riviste; e gli "Amici della musica" che ricevono dal Comune un sussidio annuo di lire Cinquantamila; e i giovani appassionati di teatro che non riescono a trovare una sala per un recital di attori del Piccolo di Milano perchè in città l’unico teatro funziona da cinematografo. (1.Segue)