CI SONO, nella struttura turistica di Milano, alcune carenze gravi se si considera, per esempio che la città non offre al turismo giovanile, specie proveniente dall’estero la possibilità di un soggiorno economico in ostelli o campeggi ma, bene o male, il 1971 ha fatto registrare in città un aumento del 3.23 delle presenze rispetto al 1970. Decisamente peggio sono andate invece le cose in provincia, dove le presenze sono calate del 4,12%. Le cause di questa flessione sono facili da elencare: la Brianza non è altro che uno squallido panorama di fabbriche, caseggiati e residenze secondarie circondate da miseri fazzoletti di verde, e il resto della provincia non vanta bellezze artistiche naturali che attirino, da sole, il forestiero C’è una zona, però, che si presta al recupero dal punto di vista turistico, ed è il Lodigiano con i suoi 120.000 ettari di verde agricolo, i suoi canali, i filari di proppi che profilano i prati, le sue chiese e i suoi palazzı risalenti alcuni all’età comunale lombarda. È allo studio, come ha annunciato ieri sera in una conferenza stampa il presidente dell’ente provinciale del turismo Carlo Ripa di Meana, un progetto che tende appunto a valorizzare il territorio. Oh, intendiamoci non si tratta e non può trattarsi di sogni ambiziosi e forse la parola turismo ha un’accezione impropria. In questo caso l’obiettivo è piuttosto quello di fare del Lodigiano un polmone verde per il tempo libero dei 3 milioni di cittadini residenti nella Grande Milano, salvando dal cemento le aree non ancora intensamente urbanizzate, costruendo strade e impianti sportivi, attrezzando le rive dei fiumi (sul Lambro, inquinatissimo, c’è poco da attrezzare, ma l’Adda non è perduto) e infine creando un sistema di parchi fluviali secondo l’impegno già assunto dall’Ept e da vari enti culturali. Impegno notevole, se si pensa che le uniche attrezzature sportivo-ricreative fluviali del Lodigiano sono per adesso quelle di Lodi che consistono in una piscina, in uno stadio per l’hockey e nella società Canottieri Adda, e se si riflette che i rifiuti solidi urbani stanno giá invadendo le città anche nella parte meridionale della provincia, mentre le cave deturpano e corrodono le sponde dei fiumi. Queste prime avvisaglie di disastro ecologico sono emerse con chiarezza in un recente convegno svoltosi a Castelnuovo Bocca d’Adda.
Ma sono avvisaglie, e quindi c’è ancor tempo per i rimedi. La strategia dell’intervento è in fase di studio, ma è evidente che essa farà perno sulle colline di Graffignana e di San Colombano al Lambro, giá adesso méta di turisti domenicali, e che punterà sugli itinerari di interesse storico-monumentale, sulla grazia rustica delle vecchie fattorie, sui mulini ad acqua, sulla cucina locale, insomma su tutto quanto rappresenta un’alternativa al cemento e all’asfalto della Grande Milano. Polmone verde: si può considerare tale il fitto intreccio di prati e canali, un pennacchiato da qualche albero a foglie rade? È ovvio che Milano, non disponendo di quelle riserve di piante secolari ad alto fusto che circondano Parigi, Londra, Bruxelles, Stoccolma e altre città europee, non potrà mai fruire di molti parchi nel pieno senso del termine (l’unico di cui dispone, quello di Monza, stenta a sopravvivere). Creare parchi significa espropriare terreni ad uso pubblico, rinfoltire la vegetazione, dir di no a tanta brava gente che vorrebbe farsi la villetta, stroncare la speculazione, difendere la campagna con le unghie e i denti. Portare insomma le impegno alle estreme conseguenze. L’Ente Provinciale del Turismo scuserà se facciamo qui l’avvocato del diavolo, ma l’esperienza ci ha insegnato a moderare l’entusiasmo che suscitano i bei progetti redatti sulla carta...