"Quando sentivamo il rombo della macchina, qui alla curva, sapevamo che era lui", dicono i suoi amici, a Secugnago, e indicano il luogo dove la via Emilia entra nella piazza. "Cambiava marcia soltanto lui, in quel modo". Un uomo alto, anziano, sdentato, ha preparato un cartello, scritto col lapis copiativo: "Eugenio, i tuoi amici di Secugnago ti ricordano" e pende un nastro, un ritaglio di foulard, nero. L’uomo era un amico di Castellotti, un amico di genere un po’ strano: indossa un pullover verde, con orlatura color tortora: "Questo me l’ha regalato lui, una sera al caffè. C’era anche Delia Scala". Su tutta la via Emilia, oggi, da Modena fino a Lodi, c’era gente: nelle piazze dei paesi, al bivi delle frazioni, sulle spallette dei ponti. Come attendessero il Giro d’Italia o la Mille Miglia. Attendevano la bara di un uomo che, tutto sommato, non avevano mai capito bene. "L’era scior, chi sa perché el voreva cur". Nei crocchi si discute: l’attesa è lunga. "Aveva almeno mezzo miliardo". "Cosa dici, almeno 700 milioni". "Le campagne da Lodi giù per Milano erano tutte sue …".
Intanto nella casa di via Biancardi 5, a Lodi, casa tipica della agiata campagna lombarda, i tappezzieri preparano il lutto: sul lato destro del cortile, dov’è l’autorimessa, scendevano i veli neri a parare la camera ardente. I curiosi si aggiravano con lunghi sguardi. Da una macchina scese Gigi Villoresi, col piede sinistro gonfio dentro una pantofola. "Era pieno di soldi, chissà perché voleva fare il corridore". La gente non è riuscita ancora a capirlo, questo giovanotto, che ha avuto le sue vicissitudini familiari, che è cresciuto nella severità del padre, e poi improvvisamente si è trovato ricco. Sì, poteva essere un giovanotto di provincia col portafogli pieno, un tipo col quale le ragazze sorridono facilmente. Ma i soldi e i sorrisi non gli bastavano, e voleva avere qualche cosa dalla vita, qualche cosa di unico. Il motore poteva farlo primeggiare. E la gente imparò a conoscerlo, quando passava sulla via Emilia, al suono del suo motore.
Oggi è ripassato, su questa strada che gli era familiare, chiuso in una bara di legno intarsiato. E tutti si sono affacciati a guardarlo, proprio per quel motore, che si riconosceva al suono. L’hanno messo nella cassa, a Modena, poco dopo le tredici, e gli hanno tolto dal petto i garofani rossi che ieri sera sua madre gli aveva portato. "Non fotografatelo così", aveva detto nelle lacrime la donna ai reporters: e i lampi sono scattati soltanto sulla bara. La benedizione del vescovo; gli operai della Ferrari in tuta che caricano il feretro sul furgone, dagli ampi vetri; sei corone di fiori, uomini dello sport e autorità interne. Il corteo parte. A Piacenza il dottor Gastaldi, direttore della delegazione lodigiana dell’Automobile Club di Milano, aveva dato penoso appuntamento, per le 15.30, agli amici di Lodi. Le macchine attendevano numerose. L’incolonnamento è avvenuto in fretta: più di 100 auto, forse 130, lente, precedute dalla polizia stradale. E i motori ronfano adagio: nessun cambio rabbioso, oggi, alla curva di Secugnago, per segnalare il passaggio del campione di casa, della un poco scapicollata gloria di questa terra. (...) Qualcuno, nel corteo delle macchine e fra le donne nella camera ardente, ha cercato di riconoscere Delia Scala. Ma l’attrice non è stata vista.