ALESSANDRO STELLA
Sport

I sassolini di Boban. "Lo sport resta bellissimo nonostante il business e l’americanizzazione»

L’ex campione del Milan: "Ai giovani serve insegnare il concetto di squadra"

Zvonimir Boban, 56 anni, ex calciatore e dirigente del Milan

Zvonimir Boban, 56 anni, ex calciatore e dirigente del Milan

Lo sport non è solo competitività e ricerca della vittoria. Può anche essere uno strumento di incontro e di crescita personale. Un mezzo per andare oltre a barriere territoriali, razziali e sociali. Tanti sportivi hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra o i soprusi politici del proprio paese d’origine. Per loro lo sport spesso è stato quel qualcosa che li ha aiutati a mantenere un giusto ideale di vita. Tra questi c’è senza dubbio il dirigente sportivo ed ex calciatore del Milan, Zvonimir Boban. L’ex talentuoso centrocampista croato, simbolo del calcio degli anni Novanta, non si è mai tirato indietro dall’affrontare discorsi sociali e politici. E anche durante e dopo il convegno “I giusti nello Sport“, organizzato da Gariwo e tenutosi a Milano, Boban ha parlato di come l’attività sportiva può avere un’influenza positiva di acquisizione dei diritti umani e sociali.

Boban, cosa significa essere “giusti“ nello sport?

"Per essere giusti nello sport bisogna essere giusti in qualsiasi altro campo della vita. Cercare di portare avanti una serie di valori determinati come solidarietà, rispetto, disciplina e lavoro. Nella vita, nello sport e nella quotidianità serve capire ed accettare l’altro".

Come si può far capire, soprattutto ai giovani, che oggi il calcio può essere uno strumento per vivere nel rispetto reciproco?

"Serve insegnare innanzitutto il concetto di squadra. Poi bisognerebbe sottolineare, anche sui media, le belle storie. Molte squadre, molte persone comuni e anche molti giovani tramite i social, cercano di mandare messaggi positivi. Però poi si evidenziano sempre gli aspetti negativi che fanno più notizia. Lo sport e il calcio sono bellissimi e hanno migliaia di esempi che lo dimostrano. Nonostante la materializzazione, il business e l’americanizzazione di certi club calcistici".

Questo riferimento ai club calcistici è casuale?

"No, no (e qui Boban si limita ad un grande ma eloquente sorriso, ndc)".

L’esperienza di vita personale fuori dal calcio quanto l’ha segnata?

"Tante cose mi hanno segnato in passato. Ho vissuto dolore e sofferenza, che però mi hanno aiutato a crescere. Anche i calciatori, al di là della clausura in cui stanno soprattutto nei momenti della partita, vivono normalmente. E la vita spesso ti arriva dritta in faccia e bisogna capirla e andare avanti. Bisogna amare il prossimo e fare del bene al prossimo".

Quanto è stato difficile giocare tra croati e serbi negli anni novanta e anche dopo?

"In realtà da quando sono nato ho sempre giocato con amici croati e serbi nei campetti sotto casa. E da giocatore, con la maglia della Dinamo Zagabria, ho fatto lo stesso. Anche durante la dissoluzione della Jugoslavia noi calciatori abbiamo sempre provato a portare messaggi di pace in campo. A volte le emozioni e le pressioni mi hanno portato a reazioni brutali e non elegantissime, però dopo la partita mi sono pentito. Molti compagni e avversari erano miei amici, lo sono ora e lo rimarranno per tutta la vita".

Spostandoci sul calcio femminile, lei anche da dirigente ha sottolineato spesso il maschilismo che dilaga.

"Il calcio è sempre stato maschilista, ora lo è meno e le cose stanno cambiando. Però il calcio femminile è stato ignorato troppo a lungo. Non ho mai capito perché la gente pensasse e pensi ancora oggi che questo sport non può essere anche femminile. Non ci si può aspettare di raggiungere subito i numeri del calcio maschile, ma intanto è bello vedere sempre più ragazze divertirsi e realizzarsi con il calcio".

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