
Inzaghi cerca di risollevare l'Inter dopo le sconfitte, puntando su Champions e Serie A. Sfide cruciali contro Roma e Barcellona.
I tre fronti aperti si sono ridotti a due. “Inzaghi come Mourinho“ non è più un possibile titolo proiettabile per il finale di stagione dell’Inter: almeno in termini di risultati, quello del portoghese sarà ancora un unicum nella storia del club e del calcio italiano, in attesa delle future annate. Al tecnico piacentino resta in potenza un bottino da gran festa, campionato e Champions League, che se centrato sazierebbe a volontà gli appetiti di una piazza oggi incline alla rabbia, più che al perdono. Nessuno assicura infatti che il sacrificio della Coppa Italia, avvenuto in un derby malamente perso (beffa che alle latitudini meneghine disturba il doppio), sia propedeutico alla conquista degli altri due trofei. Al contrario, dopo aver eliminato il Bayern in Europa, l’Inter ha infilato due sconfitte consecutive come non accadeva da due anni. Parte della squadra sembra in affanno almeno quanto il suo allenatore, le cui esternazioni nel rettangolo di gioco, quelle sì lo rendono più mourinhano del solito. Inzaghi ha recentemente strambato verso una comunicazione più diretta, non elevabile al rango (talvolta esecrabile) di offese verbali e turate di naso ai tecnici avversari o ai vertici nazionali, ma comunque non più da “porgi l’altra guancia“. Laddove c’era un episodio arbitrale ritenuto contrario, una striscia di situazioni sfortunate in area avversaria o in ultimo la rimessa laterale battuta dal Bologna ben oltre il punto di uscita della palla, Inzaghi ha preso ad evidenziarlo. Se c’era una posizione da difendere sui cambi decisi a Parma, il tecnico ha messo i dovuti puntini sulle i.
In campo, invece, è spesso stato complicato da confinare nell’area tecnica (in questo in buona compagnia e più volte sanzionato col giallo) ma l’adrenalina del derby perso, il terzo della stagione su cinque con due pareggi e nessuna vittoria, lo ha fatto esplodere a un passo dal triplice fischio. Edulcorando il concetto, ha chiesto al quarto uomo di non essere preso in giro, tagliando di netto il tempo di recupero: sul 3-0 e tra gli olé della Curva Sud, persino quei pochi minuti in più potevano appesantire ulteriormente la testa dei suoi, accolti lo stesso dagli ultras con applausi e incoraggiamenti a contesa chiusa. Nei saluti agli avversari di fine gara, Inzaghi ha poi rimproverato a Maignan le perdite di tempo nei rinvii dal fondo, anche se nelle interviste post-gara ha sottolineato il merito del Milan nei confronti stagionali e in particolare in quello di mercoledì. "Tutti, io per primo, dovevamo fare meglio", è stata l’autocritica.
Oggi più che mai l’Inter ha bisogno di calma nella gestione per spezzare il rendimento negativo e sostituire le non strabordanti energie fisiche con i giusti accorgimenti tattici, una rotazione ben studiata (che sarà ridotta a chi sarà meritevole) e le parole che serviranno a rianimare un gruppo arrivato al dunque di una stagione lunga, logorante, ciò nonostante ancora aperta a scenari di gloria, come di rimpianti. Serve, in sostanza, quell’Inzaghi capace di superare la burrasca e portare i suoi in finale di Champions due stagioni fa, nonostante dodici sconfitte in campionato che lo avevano portato al limite dell’esonero. In piedi c’è anche il discorso rinnovo, verrà affrontato con la dirigenza a cavallo tra maggio e giugno, prima del Mondiale per club. Per Marotta "è una formalità", ma le parti hanno rimandato tutto ritenendo (a ragione) troppo delicato il momento. Il calcio è però materia cangiante in men che non si dica. Contano l’oggi e i risultati, molto più dei proclami verso il futuro. Certo che, dopo tante estati con mercati a zero, lasciarsi proprio alla vigilia di una sessione con tanti denari in tasca avrebbe per il tecnico il sapore della beffa. Già domenica contro la Roma, e poi mercoledì a Barcellona, si proverà ad evitarla.
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