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Cesc Fabregas, allenatore del Como neopromosso in A. Lo spagnolo è stato premiato dall’Aldini come “Amico dei Bambini“
SESTO SAN GIOVANNI (Milano)Lo ascolta con grande attenzione Giovanni Sartori, ds del Bologna e fra i più apprezzati dirigenti italiani. Lo seguono con ammirazione Lucas Biglia e Gabriel Paletta, ex giocatori passati di recente dal campo alla panchina per insegnare calcio ai giovani. Lo osservano quasi estasiati i tanti baby calciatori presenti al Carro Social Club per il Premio Amico dei Bambini organizzato dall’Us Aldini. Tanti di loro non conoscono il Cesc Fabregas campione con la maglia del Barcellona e dell’Arsenal, ma sanno benissimo che è lui l’allenatore del “miracolo” Como. Lo spagnolo, elegantissimo e sorridente, sembra trovarsi a suo agio in quel contesto in cui gli viene consegnato il riconoscimento per il “fair play” e non solo. "Perché anche io ho cominciato a tirare calci ad un pallone all’età di 6-7 anni, e mi immedesimo in loro. So cosa vuol dire sognare, soprattutto quando indossi le scarpette per la prima volta. E poi ricevere un premio per un progetto così bello, dove i bambini sono al centro di tutto, è una cosa che mi fa un immenso piacere".
Poche parole e capisci che di fronte non hai solo un allenatore capace, innovativo e ambizioso che cammina a passo svelto in un ruolo in cui si è trovato catapultato improvvisamente, ma ti puoi confrontare con un uomo straordinario e umile cui piace aprirsi e dialogare. "Intanto mi ritengo una persona fortunata, perché faccio l’allenatore in un Paese come l’Italia. E una bella carriera vale la vita (sorride, ndr)". Parla di tattiche e di uomini, di esempi giusti da seguire. Sentirlo è un piacere. "Il calcio italiano mi piace molto. E per me è un onore essere nel vostro Paese e poter essere a contatto anche i con i ragazzi dei settori giovanili perché cerco di aiutarli a crescere in questo mondo. In Italia sto imparando tantissimo, tattica, ma non solo. Per esempio giocare “uomo su uomo” come fa l’Atalanta. Lo stiamo facendo anche adesso noi a Como, con il terzino che va a giocare dentro il campo. Non è facile per un allenatore preparare le partite del campionato italiano, qui ti studiano e di conseguenza serve sempre inventarsi qualcosa".
Ma Fabregas spiega pure l’aspetto in cui si sente diverso da tanti colleghi: "C’è una cosa che mi piace tanto fare a fine partita, ma anche prima o dopo la stessa: confrontarmi con altri allenatori, perché io ho sempre qualcosa da imparare vedendo o ascoltando i miei colleghi. Solo così posso crescere. Ecco perché è sempre un piacere, anche col carico di adrenalina addosso, parlare con Italiano e Inzaghi o De Zerbi e con tanti altri". Lo spagnolo spiega meglio il concetto: "Ho iniziato ad allenare da pochissimo e non ho avuto il tempo materiale di girare, osservare e ascoltare. Mi sono trovato dalla Primavera alla panchina di serie B in pochissimo tempo, poi subito la promozione in A: adesso però devo capire tante cose e da questo punto di vista sono un libro aperto. Non sono uno di quelli che dice, “No, non ti faccio assistere ai miei allenamenti“. C’è chi lo fa, non io. Chi viene da noi è il benvenuto, anzi sarò io a spalancargli i cancelli e a chiedergli qualcosa".
Quel che ne viene fuori da queste parole è il ritratto di un Fabregas cui proprio non piace mettersi sul piedistallo. Ai più sembra un “predestinato”, e vaticinare una panchina ancor più importante (magari fra Inter, Milan o Juventus per non farlo scappare dall’Italia) a breve non è gossip o fantamercato. Però oggi il Como viene prima di tutto e il presente dice che c’è il Napoli capolista alle porte: "Per me possono vincere lo scudetto per la qualità dell’allenatore, dei singoli e per il club. Noi proveremo a essere noi stessi, come abbiamo fatto contro tutte le squadre che sono venute a giocare al Sinigaglia. Vogliamo essere aggressivi e creare opportunità". Due parole in più le dedica al collega Conte: "È un allenatore incredibile per le squadre che non stanno andando bene, perché lui arriva e manda un messaggio che colpisce fin da subito tutti e mette ogni cosa in ordine. Sì, Antonio è un vincente, che parla poco ma si fa capire da tutti. I calciatori capiscono cosa vuole e danno qualcosa in più".
C’è tempo anche per un paio di pillole in cui svelare (ma non troppo) retroscena di mercato: "Se volevamo Theo Hernandez a gennaio? L’ha detto il presidente, è una roba sua. E se lo ha detto lui è la verità". E ancora. "Nico Paz? Mi aspetto continui a crescere, è la sua prima stagione da professionista e ha voglia di migliorare e salire di livello. Per quel che riguarda un suo eventuale salto in una “big” si deve andare con calma, per me diventerà un giocatore speciale, ma ha un percorso da fare e non si deve andare troppo veloce nel calcio. Serve la strada giusta per crescere, ha fatto solo una stagione in Serie A. Ci vogliono calma, tempo e poca pressione".
Concetto chiarissimo e che non ha bisogno di essere decriptato. Umiltà, continuità e pazienza. Anche le ambizioni del Como vanno in questo senso. "La cosa più importante è la passione. Quando le cose non vanno bene, serve prima di tutto avere la testa per ragionare. E qui come allenatore spero sempre di trasmettere i messaggi migliori ai miei calciatori, convincendoli che la strada che stiamo seguendo è quella giusta. A Como ho trovato l’ambiente ideale per portare avanti con coerenza la mia idea di calcio. Ringrazio il club per questa responsabilità e per la fiducia che hanno in me. Faccio l’allenatore perché lo sento dentro, mi piace tantissimo. Sono consapevole dei rischi di questo lavoro, viviamo con una pressione enorme e sappiamo che domani ci possono mandare via. Ma vivo questa esperienza con serenità e passione. È il modo secondo me migliore per creare qualcosa di speciale".
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