
Martina Caironi fa parte del Comitato Paralimpico delle Fiamme Gialle
Si è scrollata di dosso la sabbia che si appiccicava alla pelle dopo i suoi salti e quella fretta di andare sempre veloce. Martina Caironi, che da poco lavora per Fondazione di Milano-Cortina, ha iniziato la sua vita da ex atleta. Con le sue vittorie si è presa le luci della ribalta e ha visto cambiare il mondo paralimpico ed è ora una delle protagoniste della mostra “Una vita per lo sport“ realizzata da Fondazione Bracco e che si terrà a Milano dal 25 febbraio al 25 marzo.
Come va il post carriera? "Bene, mi sto togliendo alcuni sassolini dalla scarpa in termini di attività che prima non potevo fare, anche sportive. Poi ho il piacere di lavorare per la Fondazione di Milano-Cortina: è una continuazione della mia carriera, questo obiettivo mi permette di vivere meglio il post".
Saluterà le gare? "A quelle internazionali ho detto addio, ho dato abbastanza. Il ritiro avverrà tra non molto".
È protagonista di una mostra, come ci si sente a essere un esempio? "Mi rende orgogliosa perché racchiude esperte di vari settori. Rappresento la mia carriera che mi ha portato, progressivamente, ad essere sempre più un esempio per le persone, volente o nolente. Come atleta ho un ruolo in vista e la mia voce è più ascoltata. Insieme a tante donne, come le 100 “esperte“ possiamo combattere una società ancora patriarcale, questo è il termine da utilizzare".
È rappresentante atleti dell’IPC e del consiglio atleti di fondazione Milano-Cortina: come si rendono più visibili le Paralimpiadi? "Milano-Cortina è un’occasione anche per i media. Non si deve dare per scontato quello che è stato fatto: l’attenzione è in crescita e non va interrotto il trend, ma cavalcato, dando dignità reale. Ci vuole una narrazione non pietosa, una terminologia corretta: chi fa comunicazione ha una responsabilità".
Lo stereotipo che ha vissuto più spesso? "I nostri risultati, anche se rilevanti, sono ritenuti inferiori solo perché non siamo normodotati. Non c’è informazione, è avvilente. O siamo supereroi che superano le difficoltà o siamo ignorati, ma pian piano si sta dando più spazio".
Continua a leggere tutte le notizie di sport su