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Il milanista Leao contrastato dal difensore Jakub Moder del Feyenoord
Che confusione, sarà perché ci risiamo. "Abbiamo alzato il livello", Zlatan Ibrahomovic dixit: sulla carta, non nei numeri. Così, per adesso, ancora montagne russe, pur dopo la rivoluzione. Pur con il poker d’assi da Gimenez a Pulisic passando per Leao e Joao. Il ruggito è arrivato solo da Paixao. Su e giù da allarme rosso, per l’ennesima volta. Cambia il copione, non la sostanza: perché il fil rouge che collega il Milan di Rotterdam a quello di Zagabria, senza andare troppo indietro, è lo stesso delle prime tappe di Conceiçao, della breve era Fonseca e delle ultime puntate di Pioli.
Attitudine, atteggiamento. Questa volta, aggressività. Sinonimi, da psicoanalisi. Di fatto, da grande a piccolo Diavolo in un amen. In campionato, -8 dal quarto posto, seppur con una partita in meno, e con l’ennesimo bivio che si chiama Verona, domani a San Siro alle 20.45, prima del dentro o fuori i martedì prossimo, sempre a Milano a ancora col Feyenoord, alle 18.45. Agenda fitta, come la pioggia di martedì notte al De Kuip: Riad e la Supercoppa, lontanissime. Allora, orgoglio e colpi avevano ribaltato tutto.
Ora, tocca sperare ancora nel ribaltone. E nell’aggressività: l’appello, arriva proprio da chi avrebbe dovuto metterne di più. Chili, di più. In questo, tutti allineati. Leao: "Non abbiamo avuto la stessa grinta dei nostri avversari, soprattutto nel primo tempo. Non siamo stati al livello di questa partita". Reijnders: "La nostra aggressività non è stata sufficiente, non abbiamo dimostrato le qualità che abbiamo". Walker: "Non è uno sport di solisti, ma di squadra. Dobbiamo fare di più e possiamo farlo". Pavlovic: "Primi minuti fatali. Lì ci hanno dominato, non siamo stati abbastanza aggressivi".
Stessi tasti: differenza di rabbia, a soffocare la qualità. Due dati: 11 cross tentati, uno solo a destinazione. Biancorossi al tiro una volta in porta: un gol e una traversa. Sei nello specchio per i rossoneri: telefonate, in pratica. Da Leao, tra un antidolorifico e un "rigorino": si è sempre inceppato sul più bello. Da Gimenez: pochi palloni, marcatura stretta, zero morsi. Da Pulisic: volontà, ma lontano parente di se stesso. Qualche squillo di Joao Felix, senza cambiare i conti che non tornano, per via di una sostanza troppo variabile. Sostanza, appunto: quella che porta a suo modo Musah, quella che a loro modo non possono sempre dare Fofana e Reijnders, quella che scivola via nel momento peggiore a capitan Maignan.
Altolà: non è tutto da rifare, molto è già stato rifatto, ma tocca ripensare e rincorrere ancora una volta. Anche sul mercato: il contratto in scadenza a giugno 2026 di Theo Hernandez è ancora lì, con tutti i dubbi del caso. Nel dubbio, la palla passa per forza a Conceiçao. Che parla chiaro. Che manda messaggi anche oltre il dichiarato: "La qualità non è solo tecnica, ci sono altre caratteristiche che i giocatori devono avere. È difficile cambiare, ma non impossibile: sono qui per fare gli ultimi mesi diversi dai primi". Poi, in conferenza, si spazientisce. Questione di tempo, quello con cui lui ha giocato spesso, quello che sa di non avere: "Ho aspettato 15 minuti fuori per parlare, adesso 30 secondi e basta, scusate, va bene? Grazie, buona sera". No, non va bene. Ma c’è ancora tempo per cambiare davvero.
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