
Prosegue la contestazione dei tifosi alla società per la "gestione scellerata". Canti per spingere la proprietà a vendere il club, poi il gesto della squadra. Il presidente Scaroni getta acqua sul fuoco: "Però una coppa l’abbiamo presa".
Quando al fischio d’inizio manca meno di mezz’ora, il terzo anello della Nord è un ribollire di tifo comasco. Di fronte, nel cuore della Sud, uno striscione in mezzo al nulla ricorda che questo è San Siro, non il Sinigaglia. "Solo per la maglia", recita. Il bandierone con l’anno di fondazione, comparso con la Lazio, è mestamente arrotolato poco sopra. Verrà sventolato solo dopo. Inizia da qui il racconto di un’altra notte di contestazione. Non manca il Milan, manca il milanismo. E qualcuno aggiungerebbe "non da oggi". Fuori dalla cattedrale meneghina un gruppo arrivato dalla Bulgaria si fa fotografare festante, poco oltre ci si interroga sullo stemma monocromatico. Non piace. E la curva? Ribadisce la protesta entrando quindici minuti dopo il calcio d’inizio. "Vi abbiamo sostenuto SEMPRE, anche quando a Bergamo perdevate 5-0 oppure quando sull’1-5 per il Sassuolo la gente abbandonava San Siro al 60°", rivendica uno stralcio del comunicato, e il bersaglio è ben specificato ancora, come se ce ne fosse bisogno.
"Non ne abbiamo mai fatto una questione solo di risultati, ma soprattutto di atteggiamento. Vogliamo vedere TUTTI impegnarsi, sacrificarsi e remare dalla stessa parte! Fermo restando che i risultati di oggi sono figli principalmente della sciagurata gestione societaria...". Il presidente Paolo Scaroni, più sotto, davanti alle telecamere, gioca su equilibri incerti: "Una stagione che ha deluso i nostri tifosi e anche noi. E ci stiamo facendo delle domande sul futuro: come far sì che il futuro sia migliore". Poi però rivendica: "Mi piace ricordare che una bella coppa ce la siamo portata a casa, non è stata una stagione solo negativa. E non la consideriamo chiusa: la Champions è molto lontana, ma continuiamo a combattere". Meglio parlare dello stadio che sarà: "Siamo tornati alla proposta del 2019, costruirne uno con l’Inter, il migliore d’Europa, qui a San Siro. Abbiamo presentato un’offerta per comprarlo con le aree circostanti, e partire con il nostro progetto. La palla è in mano al Comune che deve rispondere al documento. Sono ottimista, vedo anche nel sindaco Sala una grande volontà di lasciare a Milano una meravigliosa infrastruttura di cui la città ha bisogno". Intanto, le anime annunciate dal club sono 74.800, cinquemila arrivano dal Lario. Li percepisci anche sparsi in tribuna, per loro è una festa, richiama anni gloriosi per chi pochi anni fa si interrogava se poter fare la Serie D o meno.
Il match inizia, il Milan nel silenzio pare smarrito esattamente come con la Lazio, dopo quindici minuti gli uomini in nero fanno il loro ingresso al consueto canto: "Cardinale devi vendere, vattene, vattene", e a fine primo tempo subissano la squadra di fischi. Per il risultato, ma non solo: come con la Lazio, come anche a Lecce, c’è sempre quella sensazione che il peggio debba ancora arrivare. Nella ripresa, le evoluzioni del match mitigano i toni. Non ci sono singoli giocatori nel mirino, Theo Hernandez, “beccato“ contro i capitolini, lascia il campo lontano dai riflettori nell’intervallo. Tijjani Reijnders fa finta di nulla al fischio finale: "L’energia che danno i tifosi è stata determinante". Ma qualcosa accade dopo il fischio finale, ed è questa la vera notizia. La squadra staziona a lungo a metà campo ottenuto il successo. Quindi prende la direzione degli spogliatoi. La Sud non gradisce, fischia con violenza, richiama ancora al nome di Gerry Cardinale. La rottura è piena, forte, passa inosservata nelle narrazioni del dopogara, ma è la realtà. Spacca in due l’anima del milanismo. Di quello non c’è traccia neanche con il ritorno alla seconda vittoria in fila.
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