Novak Djokovic non si arrende. Il numero uno della classifica Atp, destinatario di un provvedimento di espulsione dall'Australia, dopo essersi visto respingere il visto d'ingresso in seguito al suo arrivo per disputare gli Australian Open con un'esenzione dal vaccino anti-Covid, ha presentato ricorso contro la misura. Il giudice di Melbourne Anthony Kelly sta per esaminare - in Australia ora è il pomeriggio inoltrato di giovedì 6 gennaio - le ragioni dell'istanza del 34enne serbo. Il giocatore, intanto, si troverebbe in quarantena in un albergo della città. E nel corso della mattinata italiana è arrivata la notizia della sospensione dell'espulsione, ma solo fino a lunedì. Un modo, probabilmente, per prendere tempo e analizzare le motivazioni del ricorso del giocatore.
Lo stop a Nole, vincitore nel 2021 di tre tornei del Grande Slam, era arrivato al termine di ore convulse. Il giocatore era rimasto a lungo isolato all'aeroporto di Tullamarine, dove l'atleta serbo era atterrato alle 23.30 locali (le 13.30 in Italia). Lì è rimasto, piantonato da due agenti, nell'attesa che le autorità esaminassero il suo caso. Stesso destino per i componenti del suo staff, fra i quali l'ex campione Goran Ivanisevic, che ha pubblicato sui social una foto del "bivacco". E, infine, è arrivata la decisione. Revoca del visto per l'asso della racchetta, noto per aver espresso in più di un occasione posizioni no vax: secondo gli australiani l'atleta non avrebbe fornito prove adeguate a soddisfare i requisiti per entrare nel Paese; in altre parole, Djokovic non ha esibito la documentazione attestante il diritto a un'esenzione medica legittima, dunque è stato invitato a lasciare l'Australia.
Sullo sfondo un conflitto fra Stati. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha accusato l'Australia per il "pessimo trattamento" riservato a Djokovic, sostenendo che la Serbia sia "tutta" con il suo campione. Puntuale la replica del "collega" australiano. "L'Australia ha regole chiare sui suoi confini sovrani che non sono discriminatorie", ha affermato il primo ministro di Canberra Scott Morrison secondo cui la revoca dell'ultimo minuto del visto di Djokovic era in risposta alla "ragionevole applicazione delle leggi australiane di protezione dei confini".
La decisione del giudice
Nella serata australiana (a Melbourne erano da poco passate le 19) è arrivata una prima decisione. La scelta è quella di "congelare" la situazione, ritardando l'espulsione di Djokovic fino a lunedì, quando è in programma l'udienza finale sul caso. Solo allora si saprà il destino del tennista: dovrà lasciare il Paese o potrà rimanere, giocando così l'Australian Open? Qualsiasi esito abbia la vicenda, di certo segna una frattura importante nel mondo del tennis - e dello sport intero - sulle questioni vaccini e Covid.
Il rinvio deciso dal giudice è il primo punto segnato da Djokovic nella partita. I suoi legali, infatti, guadagnano tempo per individuare nuovi elementi adatti a puntellare il suo ricorso. L'inizio del torneo australiano, la prima prova del Grande Slam, che il serbo ha vinto nelle sue ultime tre edizioni, è previsto per lunedì 17 gennaio.
Il commento di Berrettini
Sulla vicenda è intervenuto anche Matteo Berrettini, il numero uno del tennis azzurro, che con Nole ha perso l'anno scorso la finale di Wimbledon. "Ho simpatia per Novak, e nessuno vorrebbe trovarsi nella sua stessa situazione. Non so quante ore sia rimasto bloccato all'aeroporto. Ma allo stesso tempo posso capire come mai gli australiani abbiano questa visione: Melbourne è stata la città con più giorni di lockdown di tutto il mondo", ha detto il giocatore romano al sito di Federtennis.