di Giuliana Lorenzo
Ex atleta, vicepresidente vicario del Coni, donna e madre. Silvia Salis non dimentica tutte le sue “sfaccettature”. Con suo figlio, Eugenio sempre al seguito, perché lavorare e svolgere i doveri sociali, dovrebbe essere un diritto intrinseco di questa società, fa sentire il suo sostegno alle realtà sportive. Sabato scorso ha preso parte alla Festa della Bracco: da ex martellista il primo amore è pur sempre per l’atletica.
La Bracco è una delle poche realtà tutta femminile...
"Sì e dà un messaggio determinante in questo momento. Negli anni le cose sono cambiate e credo che questa realtà ne sia lo specchio. Non è un caso che l’idea venga da un gruppo guidato da una donna, Diana Bracco, da sempre è impegnata per la questione femminile. È fondamentale sottolineare quando le donne arrivano al vertice e fanno cose per le altre".
L’atletica è in salute…
"Sì, credo che la prova sia data da un settore giovanile florido che ha sviluppato un movimento incredibile. Da Tokyo, c’è stata un’ondata azzurra, c’è un forte ricambio e questo è il sintomo di una nazionale sana".
Tiene banco il dibattito sulla violenza di genere, che ruolo può avere lo sport?
"Si basa sulla meritocrazia, i risultati non hanno genere. È vero che anche nell’ambiente sportivo ci sono resistenze, come in tutti gli ambiti del Paese. Le donne dirigenti, in Italia, sono circa il 15%. Ad alti livelli, lo sport è equamente diviso tra uomini e donne, ma quando si tratta di potere sportivo la situazione è diversa. Lo sport può attirare i ragazzi in un ambiente controllato. È un contesto giovane, gestito da persone adulte che possono dare un’educazione sportiva ed emotiva. Per il Paese, la situazione è un po’ più grave: servirebbe una rivoluzione culturale che non si ottiene con le sole iniziative. Bisognerebbe avere il coraggio di incidere sul lavoro femminile, su un sistema di welfare che permetta alle donne di emanciparsi. Qualsiasi altra manifestazione è culturalmente importante, ma non influisce. Le donne devono sentirsi al sicuro e sapere che se lavorano non stanno mancando a nessun compito sociale".
Come mai sono poche, nello sport, a livello dirigenziale?
"Da noi, non solo nello sport, c’è un enorme ricorso al pink washing. Si posizionano le donne per risolvere la questione di genere. Le cose non muteranno finché non ci sarà un peso reale nei sistemi di potere. È parziale guardare quante donne ci siano. Certi diritti non fanno parte della nostra cultura. Il 49% in età da lavoro non ha una occupazione e ciò si riflette sul sistema economico, sociale e nei rapporti di potere".
Perché si fa così fatica a far apprezzare lo sport femminile?
"Bisogna fare un discorso obiettivo per non cadere nel populismo, che detesto. Per sponsor e comunicazione, è normale. I soldi vanno dove c’è più interesse. Attualmente, lo sport maschile è più seguito, non è una legge di mercato che sto inventando. Diverse sono le tutele che ci devono essere o il sostegno che devono dare tutti gli enti che non ne possono fare un problema commerciale o di seguito. I diritti devono essere gli stessi, equamente suddivisi".
La serie B di calcio ha giocato con un pallone rosso: non è contraddittorio, dato che Portanova è condannato in primo grado per stupro (la condanna definitiva avviene dopo i tre gradi, ndr)?
"Ci sono tre gradi, la giustizia sta facendo il suo corso e non amo pronunciarmi prima che siano finite le indagini, sarebbe populismo. Possiamo giocare col pallone rosso, ma se in campo c’è una figura femminile e le urlano insulti, serve fino a un certo punto. È giusto che si faccia, ma non bisogna mai dimenticarsi, lo dirò a vita, che serve altro. È solo con le leggi, con i fondi che cambi. Il resto è importante ma serve una politica diversa senza che i progetti che riguardano le leggi, il welfare, i diritti, vengano interrotti ogni tre anni. Serve qualcosa per tutti e che richieda una visione che a oggi non c’è stata".
Come educherà suo figlio al rispetto delle donne?
"C’è un problema di fondo, di rispetto dell’altro, delle regole e quindi di rispetto delle donne. Se le donne fossero rilevanti, questi discorsi si farebbero meno. L’Italia potrà dirsi in equilibrio quando tutti avranno le stesse possibilità, sembra un concetto banale ma non lo è. Ora, sono gli uomini che devono fare la loro parte, le donne lo fanno. C’è bisogno di uomini che se in una riunione una donna viene zittita, a me purtroppo è capitato, dicano qualcosa".