Diamo per scontato che non esista l’elisir di giovinezza. Può sorgere qualche dubbio, quando si assiste al percorso di atleti dalla longevità disarmante, che corrono per il campo di gioco come avessero alle spalle i vent’anni del furore, non i 35 dell’età esperta. Henrikh Mkhitaryan è anche un nativo di gennaio, significa che i 36 sono dietro l’angolo, ma chi in cuor suo nota il chilometraggio avanzato quando l’armeno si districa in nerazzurro? D’accordo: col calendario intasato come un’autostrada a Ferragosto è d’aiuto aver salutato la nazionale, dedicandosi solo all’Inter.
Non era però peregrina l’ipotesi che la stagione successiva a quella della seconda stella, vissuta su standard qualitativi d’eccellenza, potesse registrare un calo. Così è stato per qualche settimana, persino il diretto interessato se ne doleva in una recente intervista. Poi la macchina ha fatto il dovuto rodaggio, le gambe sono tornate a mulinare e Inzaghi, che nemmeno nel momento di parziale appannamento vi aveva rinunciato, è stato felice di rivedere il Mkhitaryan che tanto apprezza. Anche col Parma, partita nella quale il centrocampista ha registrato due assist per Dimarco e Barella, il secondo giocando di prima un pallone di complicata gestione per mandare in porta il compagno. A quel che si legge nelle statistiche, va aggiunto quel che nei grandi numeri non si trova. Gli sprint a sporcare le traiettorie dei gialloblu, le letture sempre corrette. Peculiarità che lo rendono indispensabile, un’eccezione da proteggere nella nuova linea verde imposta da Oaktree.
I proprietari giunti nella scorsa primavera hanno avuto in eredità un contratto all’armeno fino al 2026, con clausola d’uscita per il club nel 2025. Difficile possa essere esercitata, pur davanti alla carta d’identità un po’ agée, se Mkhitaryan resterà quello ammirato fino ad oggi. Immaginiamo, in caso contrario, Inzaghi già pronto alle barricate.
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