Buccinasco (Milano), 28 aprile 2017 - Prima di andare a dormire Giuseppe Grillo sfogliava un libro, la biografia di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra latitante dagli anni ’90. Forse cercava ispirazione tra quelle pagine, lui che la vita da latitante la faceva da tre mesi, da quando era arrivata la condanna definitiva a 7 anni di carcere per droga. Si nascondeva nell’appartamento del cognato a Buccinasco, alle porte di Milano, dove è stato arrestato dalla polizia. Grillo, 36 anni, è sposato con Serafina Papalia, la figlia del potente boss della ’ndrangheta che dalla Calabria ha portato i suoi affari al Nord, radicandosi a Buccinasco. Antonio Papalia, 63 anni, il resto della vita dovrà passarlo in carcere, condannato all’ergastolo. Lui e i suoi legami, gli intrecci a maglie fittissime con la famiglia Barbaro, hanno fatto chiamare Buccinasco la “Platì del Nord”. Tutto inizia negli anni ’60. Il boom economico che in Italia arricchisce le famiglie, a Buccinasco si traduce con la voglia di passare da paese agricolo a piccola città industriale.
E' in questa fase che le famiglie calabresi emigrano e si insediano, formando piccole comunità.Voltarsi indietro per vedere la Buccinasco di un tempo significa aprire un libro fatto anche di pagine nere. Di capitoli in cui le frasi, le parole, fanno paura: sequestri di persona, droga, armi, omicidi, latitanti. E a Buccinasco di latitanti ne sono passati tanti. C’è passato Francesco Tropiano, Ciccio, che si nascondeva negli appezzamenti in via dei Lavoratori, gli «orti della mafia», li chiamavano, dove Rocco Barbaro e il cugino Giuseppe Molluso giravano con fucili e pistole. Buccinasco ci prova a strapparsi di dosso quell’etichetta, anche con iniziative dell’amministrazione per «fare cultura antimafia e combattere le presenze criminali che ancora abitano sul nostro territorio», afferma Rosa Palone, presidente del Consiglio comunale con delega alla legalità. Hanno abbattuto gli orti abusivi, quelli dove le famiglie si incontravano per gestire gli affari sporchi e i traffici di droga. Hanno fatto chiudere il bar Ritual, quello di Serafina Papalia, figlia del boss Antonio. Hanno convinto il gestore del bar Lyons, l’ufficio delle ‘ndrine negli anni ’90 a cambiare nome, per dare un segnale: il simbolo di una roccaforte che cade.
«Non c’è tempo per avere paura - afferma Palone - bisogna agire. È l’unico modo per far capire ai mafiosi che non li vogliamo». Per questo alle porte di Buccinasco c’è un cartello: «Qui la ‘ndrangheta ha perso». Ma anche Palone lo sa che qui la ‘ndrangheta non ha perso, continua a esistere, a tirare fuori la testa, «a tentare di farsi beffe di noi». «Vogliono far vedere che qui comandano ancora loro - spiega - vogliono essere padroni. La ‘ndrangheta vive qui, intorno a noi». Una colonizzazione. La chiama così David Gentili, presidente della commissione Antimafia del Consiglio comunale di Milano, che riporta alla memoria il termine usato dalla Dda l’anno scorso per dare un nome alle penetrazioni nell’hinterland: «Buccinasco rimane un terreno ancora fertile, luogo di rifugio per la mafia che qui ha trovato una casa. L’attenzione rimane alta e l’arresto del latitante ne è dimostrazione».