Binasco, 5 giugno 2012 - ORE 2.25, una forte esplosione scuote il centro della città. In via Matteotti il fuoco e una densa colonna di fumo avvolgono tutto, la gente si riversa nelle strade terrorizzata mentre partono le prime chiamate ai numeri di emergenza. Binasco, tranquilla cittadina alle porte del sud Milano, da poco più di un anno sta vivendo una escalation di violenza che ha come obiettivo le attività commerciali della famiglia Passafaro, quattro fratelli emigrati dalla Calabria che da vent’ anni lavorano sul territorio e che, secondo le prime indagini, sarebbero entrati nel mirino della malavita organizzata.
QUANDO sul posto arrivano i primi mezzi di soccorso lo scenario è devastante: un giovane di 22 anni è stato sbalzato a terra nella sua abitazione dallo spostamento d’aria provocato dall’esplosione. Viene trasportato all’ospedale Humanitas di Rozzano per choc acustico. Ovunque ci sono vetrine in frantumi, saracinesche dei negozi e tapparelle degli appartamenti divelte, cornicioni e intonaci caduti, insegne crollate. L’ordigno - una bomba carta molto potente - è stata piazzata a terra appoggiata all’angolo della saracinesca della panetteria pasticceria «Il fiore del pane» e nascosta da un’auto in sosta, andata distrutta dall’esplosione. Il boato ha danneggiato anche un altro mezzo vicino. Almeno quindici le attività commerciali colpite e una trentina gli appartamenti.
I SEGNI dell’esplosione si trovano anche a decine di metri di distanza, sotto i porticati e nei cortili che hanno le entrate su via Matteotti. Da febbraio 2011 è il quinto attentato subìto dalla famiglia Passafaro, avvertimenti sempre più pesanti fino all’ultimo, che poteva uccidere. «Questa volta è stata un’esplosione violenta – racconta il neoeletto sindaco di Binasco, Riccardo Benvegnù, che abita a pochi passi -. Domani (oggi per chi legge, ndr) incontrerò il prefetto». Sul caso indaga la Direzione distrettuale antimafia. Dal comando provinciale dell’Arma mantengono il massimo riserbo, ma appare evidente la stessa matrice degli attentati che, secondo i primi accertamenti, non sarebbero riconducibili al racket delle estorsioni.
massimiliano.Saggese@ilgiorno.net
5 giugno 2012 -
© Riproduzione riservata