Pantigliate, 26 febbraio 2014 - L'estenuante malattia della moglie, la rabbia, la paura e infine la furia omicida che ha spinto lo storico elettricista del paese a uccidere la donna a colpi di roncola. Ieri mattina una doppia tragedia ha lacerato la quiete di via XXV Aprile, una zona di vecchie villette all’ingresso di Pantigliate. Il 79enne Paolo Zaghi, da molti conosciuto come Lino, l’elettricista, intorno alle 7 si è lanciato come una furia sulla moglie 77enne Carmine Filipazzi, detta Carmen.
L’ha raggiunta in bagno appena sveglia e si è avventato su di lei sferrandole dei colpi secchi al capo e al collo con una roncola. Un fendente via l’altro, fino a quando la testa della donna si è staccata. Il corpo della vittima si è accasciato sul pavimento, in un lago di sangue. A quel punto è sceso in giardino con i vestiti ancora zuppi di sangue e si è impiccato al pergolato dove faceva crescere i kiwi.
utto è successo in meno di mezz’ora al piano terra del civico 13, una villetta a tre piani dove la famiglia Zaghi viveva da quasi mezzo secolo insieme ai parenti.
La donna, che soffriva da tempo di Alzheimer, era uscita dall’ospedale il giorno prima dopo due settimane di continui ricoveri. Quella notte il figlio Lorenzo Zaghi, 47 anni, aveva dormito a casa dei genitori per accertarsi che la mamma stesse bene e alle 6.45 è uscito di casa per raggiungere il grande magazzino Leroy Merlin di Pantigliate, dove lavora come commesso. Alle 7.30, i vicini di casa hanno trovato Paolo Zaghi impiccato.
«Ero appena arrivato nel mio magazzino di via Garibaldi, quando ho visto una signora affacciata alla finestra che urlava» racconta Vincenzo Carboni, il vicino di casa che per primo ha raggiunto il corpo del pensionato. «Subito dopo avere alzato le tapparelle della sua finestra, quella signora aveva visto Paolo Zaghi — continua l’uomo —, ma in un primo momento ha pensato che stesse potando le piante di kiwi. Quando si è accorta che era impiccato ha iniziato ad urlare. Io mi sono precipitato verso il giardino, ho incontrato il nipote Sergio e ho cercato di fermarlo per evitargli di vedere lo zio in quelle condizioni».
Il nipote era agitato, non sapeva cosa fare e in quei drammatici momenti si è affidato all’aria rassicurante del vicino di casa. «Mi sono fatto dare un lenzuolo e sono andato a coprire il corpo di Paolo — ricorda Carboni —, avevo paura che a quell’ora passassero i bambini del quartiere per andare a scuola e volevo evitare che vedessero quell’orrore. Sergio mi ha chiesto “Cosa devo fare?” e io ho riposto: chiama subito i carabinieri».
patrizia.tossi@ilgiorno.net
© Riproduzione riservata