
Nel riquadro, Riccardo Bettiga, garante regionale per infanzia e adolescenza
Milano, 21 marzo 2025 – Riccardo Bettiga, Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, perché ha deciso di prendere pubblicamente posizione su questo caso (il bimbo di 4 anni dato in adozione dopo aver vissuto con una diversa famiglia affidataria da quando aveva 30 giorni, ndr)?
“Perché questa decisione del Tribunale per i Minorenni, rispetto a tante altre, pur essendo inattaccabile dal punto di vista formale, desta perplessità e lascia aperta qualche domanda”.
Quali domande, esattamente?
“È giusto che le conseguenze di un affido ponte protrattosi ben oltre i limiti di tempo fissati dalla legge ricadano sul minore? Mi spiego: i primi 4 anni di vita sono fondamentali per i bambini per la costruzione dei propri pilastri affettivi. È in questi anni che si gioca la partita. Ma questo bambino, ora, per responsabilità non sue né della famiglia che finora lo ha accolto, per responsabilità che dovranno essere accertate, si trova ad aver trascorso un periodo decisivo della propria vita in una famiglia che non sarà la famiglia con la quale dovrà e potrà crescere. Da qui la domanda: se è vero che il diritto dei minori alla continuità affettiva coincide innanzitutto con il diritto a non subire traumi da separazione, questo diritto, in questo caso, è stato tutelato come preminente? A sua volta la nuova famiglia affidataria sarà chiamata a gestire una partita impostata da altri”.
Il Tribunale ha correttamente messo fine ad un affido ponte che, in quanto tale, sarebbe dovuto durare massimo un anno. Lei, però, si chiede se in questo caso l’applicazione rigorosa della legge rappresenti davvero la scelta migliore per il benessere del bambino. Giusto?
“Esatto. Voglio pensare che una decisione diversa potesse essere possibile, che in casi estremi come questo possa essere possibile attribuire meno importanza agli aspetti formali e più importanza alla salute del minore, al quale, ripeto, deve essere il più possibile evitato un trauma da separazione. A questo proposito, faccio presente che la famiglia dell’affido ponte, in questi 4 anni, non ha interrotto i rapporti con i genitori del bambino, ha invece tutelato il rapporto tra il piccolo, sua madre e suo padre. Ora mantenere intatta la continuità affettiva sarà sicuramente più difficile con un contenzioso legale in corso”.
Contro la permanenza del bambino nella famiglia in cui ha vissuto finora gioca anche l’età anagrafica dei genitori affidatari, troppo alta perché possano ottenere che l’affido ponte diventi definitivo.
“La legge fissa dei limiti di età per chi voglia prendere in affido un bambino e in questo caso si è oltre i limiti previsti. Per pochi anni, ma si è oltre. Resta valido, però, quanto detto finora: la decisione del Tribunale è formalmente inattaccabile, ma bisogna chiedersi se sia coerente con l’interesse del minore, che è preminente. I casi estremi, come questo, hanno talvolta la forza di dimostrare che il superiore interesse del bambino può non essere tutelato”.
Occorre cambiare la legge, a suo avviso?
“No, l’impianto normativo lascia qualche margine. Sarebbe stato sufficiente, prima di tutto, rispettare la tempistica dell’affido ponte e non generare illusioni nei genitori affidatari. Per il resto, anziché pensare a cambiare le leggi, si dovrebbe investire di più nella tutela dei minori e nella giustizia minorile, che soffrono da tempo per la carenza di investimenti adeguati. Oggi questi investimenti sono ancora più importanti, considerato l’approfondirsi del disagio minorile”.