Gallarate (Varese), 19 febbraio 2019 - «Quando guardi oltre, tutto è possibile». Non è una filosofia buddista ma il motto di Daniele Cassioli, 32 anni, cieco dalla nascita che tra tra i quattro elementi ha scelto l’acqua per intessere la relazione più intima. Profonda a tal punto, da avergli permesso di esplorare le sue risorse più recondite, schiudere le ali libero dai condizionamenti che aveva a terra e volare leggero sulla scia delle onde verso l’empireo di coloro che nel mondo hanno fatto grande la storia dello sci nautico.
E un po’ anche il suo, poiché stiamo parlando del campione paralimpico più in gamba di tutti i tempi. Titolare di ben 22 medaglie d’oro ai Mondiali, di 25 ori agli Europei e di 35 titoli italiani, Daniele i suoi distintivi ha scelto di appenderli non alla giacca ma all’anima. Come quello chiamato volontà, che gli ha concesso di toccare le cime più alte. O come la fede che ha sempre riposto in se stesso e negli altri. «Fidarsi ciecamente è un modo di dire che nel mio caso diventa letterale. Dai gesti più banali (come l’accostamento dei colori quando mi vesto) a quelli più importanti, la mia vita si fonda sulla fiducia» scrive il fuoriclasse nel libro di fresca data “Il vento contro” (De Agostini). Un libro che, come il suo autore, va controcorrente. Non solo per il titolo esplicitamente allusivo ma anzitutto per la voglia di far luce su un mondo ancora così “buio” e tabù. Da qui la decisione di dedicare le sue pagine alle sue stesse retine, fosse solo per l’opportunità che smettendo di funzionare gli hanno permesso di conoscersi meglio.
Di recente con il tuo libro hai fatto ingresso a Radio Deejay, a Palazzo Chigi e in un campo da calcio di Serie A. Qual è il messaggio che vuoi comunicare?
«Il messaggio vero è di rinascita. Il libro è una chiave d’accesso universale: i dispiaceri e le difficoltà possono diventare una grande scusa per essere tristi, per non fare, oppure un’occasione. “Il vento contro” è quello che ogni persona affronta tutte le volte che una storia d’amore finisce, quando ha un rapporto problematico con i genitori, oppure quando è costretta a vivere un lutto o come nel mio caso una malattia. Spesso tendiamo a mettere nelle mani degli altri la responsabilità della nostra felicità, ma è una illusione perché i veri responsabili di ciò che ci accade siamo solo noi. Nel testo spezzo una lancia a favore dello sport, che dovrebbe essere teatro di crescita per ogni ragazzo, invece, qui in Italia è messo ingiustamente ai margini. Quante volte un pallone ha messo d’accordo popoli o Paesi in cui si litiga? Se vogliamo ha messo a posto un po’ anche la mia di vita».
Si sa, l’amore è cieco e con lo sci nautico è stato amore a prima vista. Com’è nata questa passione?
«Inizialmente a conquistarmi non è stato lo sci nautico ma quello alpino. Entrambi mi hanno regalato il sapore della libertà. Una libertà che la cecità mi ha tolto ma che ho sempre reclamato. Tra me e il mondo o tra me e la mia performance c’è sempre stato un terzo incomodo e lo sci è la dimensione che più di ogni altra mi ha permesso di sfidarmi senza nessuno che mi guidasse o tenesse».
In che modo riesci a vedere con le mani?
«Una persona sceglie come apparire ma non può decidere come toccare l’altro. Mentre nel primo caso si può usare un filtro, nel secondo è impossibile. Il tocco lo paragono allo sguardo. L’abbraccio è universale e ne esistono milioni di forme. È una specie di termometro che consente di capire quanto si è predisposti verso l’altro (e viceversa). Anche la sessualità è contatto. D’altronde l’amore non lo si fa con gli occhi ma con tutto il resto del corpo e se quel resto non lo conosci è limitante.Come si fa ad ospitare qualcuno a casa propria se non si sa dov’è il salone? A volte mi rendo conto di quanto le persone non si conoscano, rinunciando al contatto è come se rinunciassero a delle parti di sé».
Il prossimo appuntamento al buio?
«Ho in programma la presentazione del libro in diverse scuole e i Mondiali in Norvegia a fine luglio. L’appuntamento con l’amore? Lo vivo ogni giorno».