Morazzone (Varese) - Quando, in mattinata, ha incontrato il difensore Stefano Bruno, si è mostrato attonito come, dice il legale, se stesse vivendo un brutto incubo, incapace di articolare una frase finita. Nel secondo incontro, nel pomeriggio, l’uomo che ha ucciso con un fendente alla gola il suo bambino di sette anni e ferito a coltellate la moglie separata, ha invece versato qualche lacrima. Davide Paitoni ha versato qualche lacrima. Nella mattinata di oggi, nel carcere varesino dei Miogni, il quarantenne Paitoni affronterà l’udienza davanti al gip per la convalida del fermo. È accusato dell’omicidio del piccolo Daniele, nella casa del padre Renato, a Morazzone (dove l’uomo era agli arresti domiciliari dal 26 novembre) e del tentato omicidio della moglie Silvia Gaggini, 36 anni, che dopo la separazione dal compagno era tornata ad abitare in casa dei genitori, a Gazzada Schianno.
Il sostituto procuratore di Varese, Luca Petrucci, ha affidato l’incarico dell’autopsia del piccolo Daniele al medico legale Petra Basso. Nell’immediatezza del dramma, è montata la polemica perché a Paitoni, agli arresti casalinghi per tentato omicidio, per avere ferito un collega di lavoro con due coltellate alla schiena durante una lite, era stato consentito dal giudice di continuare a vedere il figlio. Sul punto interviene il difensore Bruno: "Nel provvedimento il giudice dice che poteva vedere il bambino durante i domiciliari. Si erano già visti alcune volte dopo l’applicazione degli arresti domiciliari, anche il giorno di Natale, fino alle dieci di sera. Era un rapporto che non si era mai interrotto. Non capisco questo accanimento nei confronti di un giudice bravissimo e anche molto scrupoloso. È chiaro che se Paitoni fosse stato ai domiciliari per violenze domestiche sarebbe stato un conto, ma era agli arresti domiciliari per una vicenda completamente avulsa dai rapporti madre-figlio-marito e anche assolutamente controversa, perché è da chiarire se Paitoni abbia aggredito o se invece si sia difeso. Il giudice che ha consentito a Paitoni di vedere il figlio ha fatto una cosa normalissima".
"Hanno parlato - prosegue il legale - di denunce presentate dalla moglie per violenza domestica. Non risulta nessuna misura presa a tutela della moglie e del figlio, segno evidente che di questa tutela non c’era bisogno. Hanno parlato di denunce, di codice rosso, ma noi non abbiamo né un avviso di garanzia, né una misura cautelare, né un avviso di conclusione indagini per reati che rientrino nell’alveo del codice rosso". Il legale definisce "un fulmine a ciel sereno" la presenza di una pallina di cocaina sull’auto del suo assistito.
A Gazzada Schianno, i nonni materni di Daniele, Davide Gaggini e Mariangela Galli, proteggono la riservatezza e il dolore della figlia Silvia. "Non riesco a parlare - si limita a dire il padre della donna -, sono distrutto". Sono stati apposti i sigilli alla casa di Morazzone dove Paitoni trascorreva gli arresti domiciliari e dove il piccolo Daniele ha vissuto le ultime ore di una vita troppo breve. Anche i vicini hanno poca voglia di parlare. "Mi dispiace per Renato, non meritava una cosa del genere", dice uno. Nell’armadio dove il figlio aveva chiuso il corpo di Daniele, Renato Paitoni ha trovato un biglietto in cui il figlio confessava e chiedeva il suo perdono, oltre a esprimere tutto il livore accumulato nei riguardi dell’ex moglie. Un particolare che potrebbe costargli l’aggravante della premeditazione. Al cellulare del padre, l’uomo aveva inviato un messaggio Whatsapp in cui spiegava di avere fatto del male al piccolo pregandolo di non aprire il mobile che custodiva quel terribile segreto. Poi era partito in auto diretto al confine con la Svizzera.