Samarate (Varese) – Nella villetta in via Torino 32 a Samarate il tempo si è fermato a quella drammatica notte tra il 3 e il 4 maggio dell’anno scorso, quando l’interior designer Alessandro Maja sfogò la sua furia omicida sulla moglie, Stefania Pivetta, e sui figli, Giulia e Nicolò, unico sopravvissuto alla strage. Domani un’impresa specializzata interverrà per pulire il sangue e le altre tracce del massacro nella casa dissequestrata, con un costo superiore ai 10mila euro sempre a carico dei nonni materni Giulio e Ines che da quel giorno, come angeli custodi, si stanno prendendo cura di Nicolò, che il 30 ottobre compirà 25 anni. Un mese decisivo per il futuro del giovane, che si prepara ad affrontare il delicato intervento all’ospedale di Varese per la ricostruzione della calotta cranica, sfondata dal padre a colpi di martello.
"Papà, vorrei sapere quanto vale la nostra vita", ha scritto in una delle ultime lettere indirizzate ad Alessandro Maja, che sta scontando in carcere la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado. Una domanda rimasta senza risposte. Nelle motivazioni della sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio presieduta dal giudice Giuseppe Fazio, viene messo nero su bianco che da parte dell’imputato non è "venuta nella sostanza alcuna parola di pentimento" e non è stata manifestata "alcuna resipiscenza per quanto fatto, specie in danno della moglie". Ed è stata affrontata anche la questione economica, definendo "risibile se non canzonatoria", per la "relativa irrisorietà" della somma, l’offerta di 15mila euro al figlio Nicolò. "Non ha offerto al figlio, gravemente leso – scrivono i giudici nel valutare il comportamento dell’imputato – alcun risarcimento del danno o sostegno finanziario per affrontare le lunghe e complesse cure a cui dovrà continuare a sottoporsi". Questo nonostante disponesse "di beni immobili e liquidità consistenti": 270mila euro sul suo conto corrente.
Dalla Corte nessun dubbio sulla capacità di intendere e di volere dell’uomo al momento della strage - stabilita dalla perizia affidata allo psichiatra Marco Lagazzi - e sulla volontà di "eliminare tutti i membri della propria famiglia". I giudici hanno però escluso l’aggravante della crudeltà (facendo la premessa che "ogni omicidio volontario è crudele") perché Maja durante gli omicidi e il tentato omicidio "non ha compiuto alcun atto aggiuntivo tale da prolungare la sofferenza delle vittime".
Anche il fatto di aver tagliato la gola alla moglie, subito dopo averla colpita alla testa con la mazzetta attorno alle 5 del mattino, non indica la volontà di "infliggere alla coniuge una male aggiuntivo". Un gesto maturato in un contesto di problemi familiari e sul lavoro ingigantiti dalla mente di Maja, geometra 59enne titolare di uno studio di progettazione a Milano. Il suo precipitare nel buio della mente emerge anche in uno scambio di messaggi con un amico imprenditore, che aveva rilevato un locale a Milano e aveva "giudicato inadeguata" la bozza di progetto per gli interni affidata a Maja.
Il professionista il 17 aprile 2022 scrisse all’amico un messaggio di scuse (agli atti del processo) spiegando di trovarsi in una situazione "terrificante" e di fare "cattivi pensieri". Temeva che "il committente di un grosso lavoro gli avrebbe fatto causa e si sarebbe impossessato di tutti i suoi averi". Ossessioni fermentate nella mente dell’uomo che, pochi giorni dopo, avrebbe sterminato la famiglia. "L’ergastolo è la giusta pena – spiega il suocero, Giulio Pivetta – e speriamo di non avere sorprese nel processo d’appello. Noi stiamo vivendo per Nicolò, che sta facendo di tutto per riprendersi e desidera una vita normale". Una battaglia che passa anche attraverso gesti simbolici: il giovane, che sognava di diventare pilota d’aereo, nei giorni scorsi è tornato a volare e a guardare il mondo dall’alto, sorvolando il lago di Como in compagnia dell’amico Roberto Negretti.