LORENZO CRESPI
Cronaca

Il Coronavirus anche nelle lacrime

Lo ha accertato uno studio made in Varese, condotto da scienziati dell’Asst Sette Laghi e Università Insubria

di Lorenzo Crespi

Il coronavirus è presente anche nelle lacrime. Lo ha accertato uno studio made in Varese, condotto da scienziati e specialisti dell’Asst dei Sette Laghi e dell’Università dell’Insubria. Il contagio sarebbe così possibile non solo tramite la saliva ma anche attraverso gli occhi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista medica "Jama Ophthalmology". Obiettivo dell’indagine era verificare la presenza qualitativa e quantitativa di Sars-CoV-2 sulla superficie oculare dei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva. Per poterlo stabilire il team di ricercatori ha utilizzato il saggio di reazione a catena della polimerasi-trascrizione inversa (Rt-Pcr), eseguendo un tampone congiuntivale.

Su 91 pazienti esaminati è emerso che 52 (il 57,1% del campione) avevano il virus anche nelle lacrime. È stato possibile inoltre verificare che il coronavirus può essere rilevato sulle superfici oculari dei pazienti Covid anche quando il tampone nasofaringeo è negativo. In 17 pazienti infatti i risultati del tampone nasofaringeo erano negativi, ma per 10 di loro il tampone congiuntivale era ugualmente positivo. Secondo i ricercatori il test potrebbe essere dunque valutato come esame diagnostico supplementare. La ricerca è stata condotta nella prima ondata della pandemia, dal 9 aprile al 5 maggio 2020, e sono stati esaminati anche i tamponi congiuntivali di 17 volontari sani aggiuntivi senza sintomi dell’infezione, per valutare l’applicabilità del test. 58,7 anni l’età media dei partecipanti arruolati, suddivisi quasi equamente tra uomini e donne. "I risultati dello studio – spiegano gli autori del lavoro – suggeriscono che il virus può diffondersi dalle superfici oculari all’organismo". Non è stato possibile invece determinare l’infettività delle lacrime.

Gli esperti dell’Asst e dell’ateneo hanno analizzato anche il fattore smog, che può avere giocato un ruolo non secondario nella diffusione in Lombardia. "È noto – osservano i ricercatori – che i particolati atmosferici fungono da trasportatori per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus, che aderiscono alle polveri sottili, particelle che sono in grado di rimanere nell’atmosfera per ore, giorni o più a lungo, soprattutto in un clima non ventoso e a elevata presenza di inquinamento atmosferico come la Pianura Padana".