
Lidia Macchi, 21 anni al momento della morte, attende giustizia dal gennaio 1987
Varese, 1 marzo 2016 - Nove lame per cercare una verità lontana nel tempo, sepolta. Coltelli (un paio da cucina), altri due senza manico, il frammento di un falcetto. Alcuni sepolti, altri ritrovati, tutti ritrovati in due settimane di ricerche con il metal detector compiute dall’esercito e dalla squadra mobile all’interno del parco Mantegazza a Varese. E’ lì una parte della verità sulla morte di Lidia Macchi, straziata con ventinove coltellate la sera del 5 gennaio 1987. Sfilata di esperti ieri davanti al sostituto procuratore generale Carmen Manfredda. Il pg ha conferito l’incarico di consulenza all’archeologo forense Dominic Salsarola, del Labanof, il laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’istituto di medicina legale Milano, e a Roberto Giardina, genetista forense, responsabile del gabinetto regionale di polizia scientifica. Avranno due mesi di tempo. Viene prorogato il sequestro del parco. Si cercheranno altri coltelli, altre possibili armi bianche. Salsarola (che lavorò anni fa nelle indagini sulle Bestie di Satana) sovrintenderà alle ricerche dei militari, studierà i luoghi dei ritrovamenti già avvenuti e di quelli che potrebbero scaturire dalle nuove indagini. Cercherà di decifrare, studiando i posti, il terreno, le eventuali tracce botaniche, di datare i reperti e se erano stati occultati oppure, semplicemente, smarriti. Il genetista Giardina cercherà eventuali tracce biologiche da comparare con i Dna in possesso degli inquirenti. A cominciare, come è ovvio, da quello di Stefano Binda, amico di Lidia e come lei militante di Comunione e Liberazione, in carcere dal 15 gennaio con l’accusa di omicidio.
L'avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi, ha nominato il biologo e genetista forense Luca Salvaderi. Il biologo e genetista Andrea Piccinini e il medico legale Rosa Ghiringhelli sono stati designati dai difensori di Binda, gli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella. Ma non si sarebbe alla ricerca soltanto di coltelli. Gli occhiali da vista di Lidia Macchi non sono mai stati trovati. La ragazza, quando non portava le lenti a contatto, non se ne separava mai. Sul tavolo del magistrato c’è una copia del libro di poesie di Lidia. Sulla copertina la sua fotografia. Un grande sorriso. Gli occhiali sulla fronte. Alcune settimane prima di essere uccisa, la ragazza parlò alla madre di un suo amico che girava con un coltello, senza però farne il nome. C’è poi il racconto di Patrizia Bianchi, amica di Stefano Binda. Qualche giorno dopo i funerali di Lidia, andarono insieme in auto al parco Mantegazza. Patrizia notò sul pavimento della vettura un sacchetto di carta. Arrivati al parco, Binda scese portandolo con sé. Al ritorno, non lo aveva più. A giorni il gip di Varese, Anna Giorgetti, si pronuncerà sulla richiesta di esumazione della salma di Lidia Macchi, avanzata dal pg Manfredda.