Varese, 20 aprile 2018 - "Chiedo che Stefano Binda venga assolto per non aver commesso il fatto". Con queste parole l'avvocato Patrizia Esposito, difensore del 50enne Stefano Binda, imputato a processo in Corte d'Assise a Varese per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa varesina trovata morta 30 anni fa nei boschi di Cittiglio (Varese), ha concluso stamani la sua arringa difensiva. Secondo il legale, che assiste insieme al collega Enrico Martelli il 50enne per cui l'accusa ha chiesto una condanna all'ergastolo, Binda non ha mai commesso reati o manifestato atteggiamenti violenti e, benché la sua vita possa apparire "strana" perché segnata dalla tossicodipendenza che lo avrebbe portato a tornare a vivere nella casa dei genitori, le sue scelte non possono rappresentare il punto di partenza "dal quale costruire il personaggio assassino", tesi dell'accusa.
Sempre secondo il difensore, il 5 gennaio 1987, giorno in cui Lidia Macchi fu uccisa, "Binda era in vacanza a Pragelato" (insieme al gruppo Gioventù Studentesca, ndr) come ha sempre sostenuto, e non avrebbe avuto senso fornire alla Polizia che lo interrogò un mese dopo il delitto "un alibi che avrebbe potuto essere smentito da cento persone".
"Non c'è nessun elemento - ha aggiunto il legale nella sua arringa - che faccia pensare alla presenza di Binda la sera dell'omicidio. Quella sera Lidia va a trovare l'amica Paola ricoverata in ospedale dopo un incidente stradale. C'è il gruppo degli amici milanesi e ci sono anche due amici di Brebbia: Giuseppe Soggiu e Piergiorgio Bertoldi. Il trio di amici è 'monco', manca infatti Binda che è alla vacanza di studio della gioventù studentesca. Nessuno degli amici di Lidia parla di Binda. Una signora - prosegue la Esposito nell'arringa - si affaccia davanti all'ospedale e vede arrivare un'auto bianca grande. Per l'accusa è la 131 di Binda. Ma come si fa - ha aggiunto la difesa - la sera alla luce artificiale dei lampioni a dire quale era l'esatto colore dell'auto?" Al processo si parla anche del molestatore dell'ospedale. "Una signora molestata - ha ripreso la difesa - esce dal bar e prende la targa di una grossa auto bianca che non corrisponde alla targa di Binda".
Nell'udienza di oggi ha preso parola anche ils scondo difensore di Binda, Sergio Martelli. L'avvocato ha chiesto che il suo assistito venga assolto "con la formula più ampia possibile". Nel suo discorso conclusivo ai giudici il legale ha spiegato come la tossicodipendenza di Binda, secondo i periti dell'accusa tale da impedirgli di poter stare a lungo costretto in luoghi o situazioni controllate quali la vacanza di gruppo a Pragelato, da sempre alibi del 50enne rispetto all'omicidio, sarebbe invece peggiorata solo successivamente l'epoca universitaria. Poi Martelli è tornato sui quattro capelli, dna ignoto ma non di Binda, trovati sul corpo di Lidia Macchi in zona pubica durante la seconda autopsia realizzata sul cadavere. "I capelli - ha ipotizzato - potrebbero essere dell'assassino", "sono probabilmente di chi ha avuto un rapporto sessuale con lei", ma "non sono di Binda". Secondo l'accusa sarebbero potuti arrivare sul corpo della studentessa, nella prima autopsia 30 anni fa non furono rilevati, per "contaminazione", ad esempio durante la vestizione della salma per le esequie, ma secondo Martelli "è improbabile". A margine dell'udienza l'avvocato ha aggiunto "la mia collega ha smantellato ogni tesi dell'accusa, pezzo per pezzo, di Binda hanno costruito un'immagine negativa tralasciando ogni aspetto positivo".
ha collaborato GABRIELE MORONI