GABRIELE MORONI
Cronaca

Lavinia Limido racconta il suo calvario. La cartolina di Manfrinati all’ex suocera: “Ora quel brav’uomo sarà con gli angioletti”

Il 6 maggio l’ex compagno (ora a processo per stalking) ha ucciso a coltellate Fabio Limido, il padre della donna: “Sapevo che l’epilogo sarebbe stato la morte di qualcuno, pensavo la mia”

Varese, 16 novembre 2024 – Al via questa mattina la testimonianza di Lavinia Limido, vittima della violenza dell'ex marito Marco Manfrinati che nel procedimento odierno è accusato di stalking nei confronti della ex moglie, della ex suocera Marta Criscuolo e dell'ex suocero Fabio Limido. Atti persecutori che sono poi sfociati nell'omicidio di Fabio Limido, avvenuto lo scorso 6 maggio in via Menotti a Varese, quando Manfrinati uccise l'ex suocero con 21 coltellate e ferì in modo gravissimo Lavinia.

La cartolina

Prima dell'inizio dell'udienza l'avvocato di parte civile Fabio Ambrosetti ha prodotto una serie di mail inviate a Lavinia e al padre con insulti e minacce anche dopo i fatti di via Menotti. Non solo: dal carcere di Busto Arsizio, dove è detenuto per l'omicidio e il tentato omicidio, Manfrinati a settembre ha inviato una cartolina alla ex suocera con il messaggio: “Sentitissime condoglianze per la dipartita di quel brav'uomo morto quattro mesi fa, che ora sarà con gli angioletti. Sinceramente, Marco”.

VARESE. PROCESSO MANFRINATI LIMIDO PER STALKING
Processo a Manfrinati per stalking, in aula Lavinia Limido

La ricostruzione

Oggi Lavinia Limido, assistita dall'avvocato Ambrosetti, ha ripercorso l'incubo vissuto dopo il trasferimento con Manfrinati da Varese a Busto Arsizio (Varese), raccontando che le controllava i soldi a ogni fine mese, che la aggrediva se non posteggiava l'auto in garage. Ed è proprio dopo l'ultimo atto di violenza che aveva deciso di fuggire. “Mi sono nascosta in provincia di Como, a casa di un'amica di famiglia, perché sapevo che lui mi avrebbe cercato dai miei genitori”, ha raccontato in aula.

“Non uscivo di casa”

"Non uscivo di casa e i miei venivano a trovarmi usando auto diverse per non essere seguiti". E ancora: “Manfrinati ci minacciava e ci insultava con email e telefonate, indirizzate anche alla nostra azienda. Fummo costretti a mettere telecamere ovunque e, addirittura, a fare il giro degli isolati prima di rincasare la sera, per controllare che lui non fosse in zona”. La donna, parlando con i cronisti dei tragici fatti del 6 maggio scorso ha commentato: “Sapevo che l’epilogo sarebbe stato la morte di qualcuno. Pensavo alla mia”.