Gabriele Moroni
Cronaca

Morti in corsia a Saronno, i giudici: “Domenico Brasca è stato ucciso, tracce di farmaci del protocolllo Cazzaniga”

Il consigliere estensore Federico Centonze motiva la sentenza con cui, lo scorso 27 giugno la seconda Corte d'Assise d'appello di Milano, ha inflitto un nuovo ergastolo all’ex aiuto primario del pronto soccorso

Leonardo Cazzaniga

Saronno (Varese), 4 agosto 2023  – "Ritiene la Corte che il decesso di Domenico Brasca sia direttamente riconducibile alla condotta del Cazzaniga inveratasi nella somministrazione dei farmaci del famigerato protocollo', causa concomitante e con efficacia deterministica diretta rispetto al decesso". In 47 pagine il consigliere estensore Federico Centonze motiva la sentenza con cui, lo scorso 27 giugno la seconda Corte d'Assise d'appello di Milano, ha inflitto un nuovo ergastolo a Leonardo Cazzaniga, 67 anni, ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno. Il decesso era quello di Domenico Brasca, morto a 82 anni, il 18 agosto 2014, nella sua abitazione di Rovello Porro (Como), dopo poche ore trascorse al pronto soccorso saronnese. Era stato l'ultimo omicidio addebitato a Cazzaniga, assolto in primo grado e condannato in appello. A settembre dello scorso anno la Cassazione aveva annullato la sentenza di secondo grado che aveva affermato la responsabilità del medico per l'omicidio volontario di Brasca. La difesa aveva contestato nel ricorso alla Suprema Corte la mancata rinnovazione delle testimonianze, risultate determinanti per l'assoluzione di Cazzaniga in primo grado, a Busto Arsizio. Di qui il "ritorno" a Milano.

Il verdetto non modificava la sorte giudiziaria del medico che nel carcere di Opera continua a scontare la pena massima (carcere a vita con tre anni di isolamento diurno) per gli omicidi di sette pazienti in corsia e per due morti in ambito familiare: Massimo e Luciano Guerra, rispettivamente marito e suocero dell'infermiera Laura Taroni, all'epoca amante di Cazzaniga.

"La somministrazione a Brasca - osservano i giudici dell'appello bis - dei farmaci neurolettici e sedativi è accertata dall'esame autoptico e su di essa, sostanzialmente, non vi sono contestazioni della difesa. Risulta dalla perizia collegiale condotta dai dottori Cattaneo-Iapichino-Groppi-Merelli, che l'autopsia ha consentito di individuare ed isolare nella salma, oltre a tracce di farmaci presenti nel piano terapeutico (citalopram e paracetamolo), anche tracce di tre farmaci non presenti nella cartella clinica dell'ultimo ricovero presso la Fondazione Maugeri né nel verbale del pronto soccorso del 18 agosto 2014, in particolare tracce di midazolam, promazina e clorpromazina, quindi i farmaci del cosiddetto 'protocollo Cazzaniga' ". Non è stato possibile accertare né il livello di concentrazione dei tre farmaci nei tessuti al momento della morte, né le dosi esterne effettivamente somministrate al paziente.

Secondo la sentenza "è certo che il decesso di Brasca sua stato determinato 'anche' dalle sue gravi patologie preesistenti, ma indubbio è su di esse si sia innestata la somministrazione dei farmaci del 'protocollo Cazzaniga' che vi hanno spiegato diretta efficacia deterministica".

"Non vi è dubbio che l'azione di Cazzaniga si sia innestata in un contesto nel quale il processo di morte doveva dirsi già avviato, non rappresentandone altro che una concausa, determinante tuttavia a provocarne l'accelerazione o comunque la verificazione 'hic et nunc' ". L'esito letale era quindi certo ma non lo era assolutamente il "quando".

"Le modalità dell'azione - è una osservazione di carattere generale sull'operato dell'ex vice primario - sono quindi sintomatiche del dolo omicidiario, come ritenuto dal giudice di primo grado e da quello di legittimità, poiché l'imputato, medico esperto ed a conoscenza degli effetti dei farmaci anestetici utilizzati, somministrandoli consapevolmente in sovradosaggio, in combinazione tra di loro ed in tempi molto rapidi a soggetti in evidente condizione di instabilità e prossimi alla morte, con modalità incompatibili con una corretta somministrazione delle cure palliative, non poteva avere altra finalità se non quella di accelerarne il decesso. Il dolo è quindi intenzionale e non eventuale".