Busto Arsizio (Varese) – Un padre e una madre davanti all’entrata del tribunale, che trovano riparo dalla pioggia e dal freddo sotto la tettoia di un bar, dove di tanto in tanto entrano per stare al caldo e bere un caffè consolati anche dall’affetto del barista.
Il tribunale di Busto Arsizio è blindato. L’ordine arrivato dall’alto è di non far entrare nessuno. Tanto meno i familiari degli indiziati. E al padre e alla madre di Michele Caglioni non resta altro da fare che aspettare che si concluda l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari, Anna Giorgetti, e al pubblico ministero Francesca Parola, che ha coordinato le indagini sull’omicidio di Andrea Bossi fin dal rinvenimento del cadavere del 26enne di Cairate lo scorso 27 gennaio. Caglioni arriva in Procura intorno alle otto e mezza ed esce, per essere ricondotto in carcere, alle undici e mezza. Tre ore, ieri mattina, durante le quali risponde alle domande di pm e gip dimostrando piena collaborazione. È stato del resto lui a far ritrovare ai carabinieri le chiavi dell’appartamento, il cellulare distrutto di Bossi e il posacenere usato per stordirlo prima della fatale coltellata alla gola. E se il suo avvocato va via dal tribunale trincerandosi dietro un laconico "no comment", è tuttavia confermato che il ventenne abbia ribadito la sua estraneità all’omicidio; che lui a casa di Bossi – assieme a Douglas Carolo per quello che doveva essere un sabato sera come tanti da trascorrere con due coetanei – non aveva minimamente contezza di ciò che sarebbe poi accaduto. E che non poteva nemmeno lontanamente immaginare che la festa sarebbe finita con un’aggressione, una rapina o un omicidio.
I gioielli rubati e poi venduti a dei compro oro per ricavarne dei soldi. Le carte di credito trafugate e i prelievi fatti alle quattro e mezza del mattino ripresi dalle telecamere di una banca. Lui Bossi nemmeno lo conosceva. L’unico punto di contatto era l’amicizia in comune con Carolo. Frasi che potrebbero voler indicare nell’amico l’autore della coltellata. Ai magistrati ha cercato di spiegare anche perché sia rimasto in silenzio per un mese. Fino al giorno dell’arresto. Lo choc di fronte a qualcosa di enorme, certo. Ma ci potrebbe essere dell’altro. Delle minacce, forse, che avrebbe ricevuto per non rivelare nulla. Tutto per ora sotto riserbo, su cui però la pm vorrà fare luce.
“Si è trovato nel momento sbagliato, nel posto sbagliato e con le persone sbagliate. È finito dentro una cosa più grande di lui", sospira la madre cercando di trattenere le lacrime. Vent’anni appena compiuti, Michele "sognava di sfondare nel mondo della musica: ha sempre avuto una bella voce". I genitori, che non lo vedono dall’alba di mercoledì, quando viene portato via dalla casa della nonna a Cassano Magnago dove ha trascorso la notte per farle compagnia, devono fare i conti in questo momento anche con un altro dolore: la shitstorm ovvero gli insulti volgari e pesantissimi, fino a toccare il reato d’istigazione al suicidio, arrivati a decine sulla pagina Instagram del ragazzo...
La scena successiva ha per protagonista Douglas Carolo. Si porta però via una mezz’ora appena. "Si è avvalso della facoltà di non rispondere, il forte stato confusionale e di smarrimento ha reso impossibile affrontare l’interrogatorio" dicono i suoi due avvocati Vincenzo Sparaco e Gianmatteo Rona. Carolo in sostanza non ha confermato le dichiarazioni fatte in carcere venerdì davanti ai legali, quando aveva affermato che lui quella sera a casa di Andrea Bossi nemmeno c’era, di essere stato assieme ad altri amici ben lontano dalla palazzina di via Mascheroni. Di avere un alibi, insomma. Suggestioni che al momento non trovano riscontri, e comunque in contrasto con la ricostruzione di quella tragica notte fatta dai magistrati bustocchi con prove e immagini, quelle sì, circostanziate. Da qui la decisione di scegliere la strada del silenzio. Per non complicare la propria posizione. Gli avvocati ne sono consapevoli, "sarà un’inchiesta lunga".